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Vite in tumulto

Introduzione

 

Dal 15 al 16 ottobre 2022 si è svolto online, nell’ambito delle Risonanze della Festa del Cinema di Roma, grazie alla collaborazione tra The International Institute for Psychoanalytic Research and Training of Health Professionals (IIPRTHP), ente gestore della Scuola Internazionale di Psicoterapia nel Setting Istituzionale (SIPSI), la Fondazione Cinema per Roma, e Formazione Continua in Psicologia, il workshop Cinema e Sogni, ideato dallo psicoanalista Domenico Arturo Nesci nel 2000. Questa edizione del workshop è stata dedicata a ricordare il quarantennale della prima proiezione di Koyaanisqatsi diretto da Godfrey Reggio (1982). Nell’articolo che segue riportiamo la trascrizione, ad opera di Sara Rammella, riveduta e corretta dai tre Relatori (Nesci, Sabbadini e Vinci) per garantire la fedeltà del testo alle loro intenzioni e per salvaguardare la privacy dei partecipanti. Coloro che desiderassero poter recuperare integralmente il video dell’evento possono farlo iscrivendosi anche ora all’evento sulla piattaforma FCP (cliccando sul link sotto riportato) e poi scaricandone la registrazione integrale che resterà online per un anno.

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Trascrizione del workshop a cura di Sara Rammella riveduta da Nesci, Sabbadini e Vinci

 

I parte: sera del 15 ottobre 2022.

Marco Mascioli: Buonasera a tutti. Vi do il benvenuto di FCP in questo workshop cinema e sogni che abbiamo chiamato in modo evocativo “Vite in tumulto”. Questo workshop è offerto dalla Scuola Internazionale di Psicoterapia nel Setting Istituzionale, cioè la SIPSI, e si svolge nelle Risonanze della Festa del Cinema di Roma 2022 che è organizzata ogni anno dalla Fondazione Cinema per Roma.

Il format, ideato da Domenico Arturo Nesci nel 2000, è abbastanza particolare. Questa sera staremo un’ora insieme per introdurre il film Koyaanisqatsi che… spero di pronunciarlo bene… magari Domenico… aiutami tu!

Nesci: Caro Marco ti aiuto volentieri e colgo l’occasione per raccontare un aneddoto divertente sul titolo del film che Godfrey Reggio ha diretto nel 1982, quindi esattamente 40 anni fa. Reggio fu intervistato su questo film e gli hanno chiesto “Lei è di origini italiane? Da dove viene il titolo del film?” Lui ha confermato di essere di origini italiane aggiungendo una battuta un po’ salace… “dato che avete sgamato le mie origini, vi confesso che a me Koyaanisqatsi rievoca coglioni e cazzi… quindi quando il capo di una tribù di Indiani d’America Hopi mi ha detto questa parola per esprimere l’idea che secondo loro noi uomini bianchi siamo tutti pazzi e facciamo vite in tumulto, cioè delle vite frenetiche, disumane e autodistruttive, ho subito pensato che bisognava usare come titolo del film proprio questa parola per me così evocativa… molto adatta a esprimere quello che pensano di noi gli indiani d’America Hopi, un popolo pacifico, che non è violento e che ha molto da insegnare a noi tutti…”

Marco Mascioli: il film come anticipato da Domenico è dell’82, del regista Godfrey Reggio. Dopo questa prima ora di introduzione vi forniremo i links affinché possiate andare a vedere il film per conto vostro in vista della seconda parte di questo workshop che si terrà domattina con il professor Nesci e il professor Vinci, e sarà una sessione di social dreaming guidato. Stasera parleranno sia il professor Nesci che il professor Sabbadini. Domenico Arturo Nesci è medico psichiatra e criminologo, psicoanalista dell’IPA e della Società Canadese di Psicoanalisi, è poi co-direttore e docente della SIPSI di Roma. Andrea Sabbadini è psicologo e psicoanalista, membro ordinario della British Psychoanalytic Society e docente presso l’UCL (University College London) oltre che della SIPSI. Questa sera non sono previste domande proprio perché la parte interattiva sarà svolta domattina. Lascio la parola a Domenico e vi auguro un buon Workshop!

Nesci: Grazie Marco, cercherò di spiegare brevemente come funziona il Workshop Cinema e Sogni. L’idea è semplice: invece di discutere un film, sognarlo. Perché sognare un film significa andare a recuperare l’anima segreta di quel film. Il linguaggio del sogno si avvicina molto al linguaggio cinematografico e quindi ho pensato potesse essere una cosa stimolante se ci riunivamo per vedere insieme un film e poi sognarlo. Nella pratica clinica, il workshop cinema e sogni è nato durante i corsi di Psico- Oncologia che facevo all’Università Cattolica, a Roma. Lì mi ero accorto che spesso, quando si discuteva un caso difficile e si finiva in stallo, il gruppo riusciva a ripartire rievocando la scena di un film. Questo mi ha molto colpito! Anche perché nel lavoro psicoanalitico avevo notato un fenomeno simile: quando il processo sembrava essersi bloccato, ecco che il paziente portava un sogno che riattivava una nuova fase del percorso analitico. Quindi cinema e sogni sembrano avere questo stesso potere nel promuovere la rielaborazione di qualcosa, la risoluzione di un problema.  È del resto esperienza di ognuno che riusciamo a superare problemi che nella veglia, il giorno prima, sembravano insormontabili, solo al risveglio, dopo una notte di sonno… e di sogni!

Ma torniamo a Koyaanisqatsi. Questo è un film che ha fatto la storia del cinema. Vi lascio quindi con Andrea Sabbadini, esperto di cinema e psicoanalisi di livello internazionale, che ha creato il Festival Psicoanalitico del Cinema Europeo (European Psychoanalytic Film Festival) un evento straordinario che si tiene a Londra ogni 2 anni, dal 2001. Grazie Andrea di essere con noi!

Sabbadini: Koyaanisqatsi: Life Out of Balance è un film del 1982 prodotto e diretto dallo sceneggiatore e regista americano Godfrey Reggio (nato a New Orleans nel 1940 da una famiglia di lontana origine italiana). È il primo, e più noto, film di un Trilogia Qatsi, i cui altri due lavori Powaqqatsi (del 1988), e Naqoyqatsi (del 2002) portano anch’essi titoli tratti dal linguaggio della tribu indigena Hopi, confinata in Arizona; termini, ci dice Reggio, privi per noi del solito bagaglio culturale. Racconta il regista che avrebbe preferito non dare nessun titolo ai suoi film, ma che i distributori, per ovvie ragioni, non gliel’hanno consentito… I film che compongono la trilogia sono basati sulla combinazione di sole immagini, in un montaggio ritmato da suoni e musica, con un forte impatto visivo, per mostrare l’effetto distruttivo dell’attuale civiltà industriale sull’ambiente, evidenziando il contrasto fra moderna tecnologia e mondo naturale.

Per cento minuti noi spettatori ci ritroviamo immersi in un’America di grandiose bellezze naturali e di frenetiche attività umane, in un ritmo serrato di immagini riprese dal direttore della fotografia Ron Fricke – che ci ricordano quelle del grande fotografo brasiliano Sebastião Salgado – e scandite con impressionante precisione dalla musica, cinematica per antonomasia, di Philip Glass. Ne restiamo praticamente ipnotizzati, e venirne fuori è come emergere da un sogno.

Per la sua originalità questo cult film sembra uscire dalle categorie tradizionali. Certo non è un esempio di fiction (anche se ha la forza di attanagliarci di fronte allo schermo ancor più di un dramma sentimentale o di un thriller), ma esiterei anche a chiamarlo un documentario, a cui peraltro sembrerebbe avvicinarsi, se definizioni di tale termine comprendono: “Un film che si propone di illustrare fatti, avvenimenti, luoghi, tratti direttamente dalla realtà, a scopo divulgativo o didattico” e “un film, di qualsiasi lunghezza, girato senza esplicite finalità di finzione, e perciò, in generale, senza una sceneggiatura che pianifichi le riprese”. Forse dovremo accontentarci di chiamare Koyaanisqatsi un progetto collaborativo sperimentale, un mosaico in movimento inventato da un cineasta visionario che vuole aiutarci a ri-vedere e ri-sentire la normalità da una prospettiva diversa. Un film, come afferma Reggio in un’intervista, che non ambisce a dare risposte, ma solo a mettere lo spettatore nella posizione di fare domande – assolutamente non didattico, ma autodidattico. Siamo, ci dice, in una fase di “saturazione di immagini”, e questo significa che abbiamo una grande opportunità di riconsiderare dove siamo e chi siamo e cosa vogliamo, un momento bellissimo in cui cercare di dare un nuovo nome al mondo.

Nel 1976 il comico Americano Mel Brooks diresse un film muto dall’originale titolo Film muto [Silent Movie]. Ad un intervistatore che gli chiese alla televisione che senso avesse fare negli anni ’70 un film senza parole, Mel Brooks rispose: “Che senso può avere parlare di un film senza parole?” Faccio qui riferimento a questo divertente episodio perché mi sono chiesto che senso possa avere parlare del film muto sul quale sono stato gentilmente invitato dal Prof. Nesci a condividere con voi le mie osservazioni.

Potrete giustamente obiettarmi che Koyaanisqatsi non è letteralmente muto, tutt’altro: la straordinaria musica minimalista di Philip Glass (composizione peraltro anche corale, ma senza altre parole che quella del titolo del film, ripetuta più volte da una voce basso-profonda) regala allo spettatore un’esperienza niente affatto silenziosa – una colonna sonora altrettanto importante della fotografia di Ron Fricke, con cui si abbraccia perfettamente. Ricordo qui che Philip Glass è, insieme a John Adams, il massimo esponente del linguaggio ‘minimalista’ di composizione, caratterizzato (come sentirete guardando il film) da semplici strutture armoniche fortemente ritmiche, ripetute molte volte di seguito con poche variazioni. Ebbi la fortuna di incontrarlo nel 1997 in occasione del suo sessantesimo compleanno, quando col mio coro cantammo al Royal Festival Hall di Londra alla sua presenza alcuni brani dalla sua opera Satyagraha sulla vita di Gandhi e sulla sua idea della non violenza.

Ma, insomma, nel film nessuno parla, e mi chiedo se parlarne io, qui con voi, non rischi di interferire con quell’eccezionale universo visivo ed auditivo in cui il film qui proposto ci invita ad immergerci. In un’intervista Reggio affermò che la sua scelta di non servirsi di dialogo o di commento parlato nei suoi film era dovuto non a un suo disdegno generalizzato del linguaggio, ma alla sua convinzione che “il nostro linguaggio si trova in uno stato di vasta umiliazione. Non descrive più il mondo in cui viviamo”.

Koyaanisqatsi, ci viene spiegato nei titoli di coda, è una parola Hopi che può essere resa in vari modi: “crazy life (vita folle); life in turmoil (vita tumultuosa); life out of balance (vita squilibrata); life disintegrating (vita in disintegrazione); a state of life that calls for another way of living (un modo di vivere che richiede di essere cambiato). La decisione del regista di chiamare i suoi film con parole del linguaggio degli Hopi, cioè di una società indigena con una cultura orale primaria raffinata, sembra essere un riferimento nostalgico, e forse anche un poco ingenuo, ad un passato più a contatto con la natura e con la nostra umanità originale, prima della perversione esaltata dallo sviluppo industriale e tecnologico. Aggiungerei che l’utilizzo continuo da parte del fotografo del film di immagini rallentate o accelerate (servendosi di sofisticati effetti slow-motion e time-lapse) sembra sottolineare che non abbiamo davvero controllo finale su quello che facciamo – o su chi siamo.

Ma io, del titolo del film suggerirei un po’ provocatoriamente una traduzione alternativa: “Il disagio della civiltà”. Il riferimento è al titolo della celebre opera di Freud del 1929 in cui il fondatore della psicoanalisi si stupisce che “gran parte della colpa della nostra miseria va[da] addossata alla nostra cosiddetta civiltà… Gli uomini hanno compiuto progressi straordinari nelle scienze naturali e nell’applicazione tecnica di queste scienze, rafforzando il loro dominio sopra la natura in un modo prima inimmaginabile… [ma] questo assoggettamento delle forze della natura che appaga un’aspirazione vecchia di migliaia di anni, non… li ha resi, stando alle loro sensazioni, più felici” (pp. 377-79). Perché? I due scopi della civiltà, scrive Freud, sono “proteggere l’umanità dalla natura e regolare le relazioni degli uomini tra loro” (p. 580). Il passo decisivo verso la civiltà sembra essere “la sostituzione del potere della comunità a quello del singolo” (p. 585). È perché la civiltà impone grandi sacrifici sia alla sessualità che all’aggressività degli uomini, dice Freud, che costoro stentano a trovare in essa la loro felicità; è per “un po’ di sicurezza [che] l’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità” (p. 602). “Il significato dell’evoluzione civile”, conclude Freud, “indica la lotta tra Eros e morte” (p. 609).

Vorrei qui fare riferimento anche a quello che è considerato dai critici come l’ultimo grande film muto: il capolavoro chapliniano Tempi moderni [Modern Times] (uscito nel 1936), alcune scene del quale possono essere viste come anticipatorie di quelle del film di Reggio; in un linguaggio affatto diverso, entrambe le pellicole sembrano avvertirci che anche l’uomo, con le sue scoperte scientifiche e la sua civiltà e tecnologia di macchine impazzite, è dopo tutto parte intrinseca della natura. Interrompendo la frenesia esaltata di masse umane in movimento, la macchina da presa si ferma per lunghi istanti su uomini e donne ritratti in primo piano, quasi a ricordarci che le folle sono costituite da individui, che anch’io e tu e lui e lei, non soltanto loro, ne facciamo parte. Allora non ha senso contrapporre la natura incontaminata di montagne e praterie, ghiacciai e oceani, all’homo sapiens che sempre più li contamina, ma cercare di comprendere come siamo arrivati a questo punto, forse di non-ritorno. Senza poter più nasconderci, come tendiamo comunque ancora a fare, che quella del Ventunesimo secolo è un’umanità che si sta avvicinando, e molto più rapidamente oggi che all’uscita del film di Reggio quarant’anni fa, all’incombente disastro ecologico causato dalla sua stessa avidità, all’irreparabile degrado del suo ambiente naturale, infine alla propria autodistruzione.

In una recente intervista Reggio ha espresso la sua profonda preoccupazione con estrema chiarezza: “Il prezzo che paghiamo per il conseguimento della felicità tecnologica”, affermò, “è la distruzione di tutto quello che ci circonda”. Una conclusione con risvolti apocalittici, illustrata verso la fine del film dalla drammatica sequenza di un razzo che, poco dopo essere partito dalla rampa di lancio, esplode nel cielo; la macchina da presa segue, per un tempo che sembra non finire mai, il detrito spaziale ed il fumo bianco della scia lasciata dal motore in fiamme… prima di riportarci, e qui possiamo forse tirare un respiro di sollievo, dentro la caverna dipinta con figure umane primitive, della scena iniziale.

Quasi un secolo è trascorso dalla pubblicazione del saggio di Freud, e quarant’anni dall’uscita del capolavoro di Godfrey Reggio. Non possiamo evitare di aggiornare le parole dello psicoanalista e le immagini del cineasta alla nostra profonda preoccupazione contemporanea riguardo al futuro del nostro ambiente. Quella “lotta tra Eros e morte” nel testo freudiano, e quel contrasto fra le straordinarie sequenze cinematografiche di una natura grandiosa e ancora vergine nella prima parte del film e, nella seconda parte, il frenetico agitarsi, all’incrocio fra ordine ossessivo e caos, di uomini e macchine, sono oggi espressione del nostro paralizzante conflitto fra il bisogno di fare di tutto per salvare in qualche modo il mondo (e con esso noi stessi) dalla distruzione totale, illudendoci che non sia già troppo tardi, e la generale impotenza ad agire nell’insensata speranza che siano gli altri ad assumersene la responsabilità. Il filosofo Vinci sarà concorde che queste sono domande che non possiamo evitare di porci e risposte che non possiamo evitare di cercare.

Nesci: Ti ringrazio Andrea, e vorrei ricordare una storia che abbiamo pubblicato di recente sulla nostra rivista telematica Doppio Sogno con delle immagini molto suggestive (Nesci D.A. e Nesci F.A., 2022). Si tratta di un racconto antico che è stato ripreso da Paulo Coelho ne L’Alchimista e narra di un ebreo che vive a Cracovia e fa un sogno. Sogna che vicino ad un ponte, a Praga, sotto ad un albero, è sepolto un tesoro. Il sogno è così vivo che prepara il cavallo e parte per andare da Cracovia a Praga con il piccone e la pala per vedere se c’è davvero il tesoro che ha sognato. Con grande sorpresa trova il ponte e l’albero uguali a quelli che ha sognato e si mette a scavare. Attira l’attenzione delle guardie che vanno lì e lo arrestano. Il comandante delle guardie chiede cosa stesse facendo e lui risponde “ho fatto un sogno” e glielo racconta. Il comandante si mette a ridere e gli dà dell’ingenuo ma aggiunge anche: “ti voglio raccontare una cosa: anch’io stanotte ho fatto un sogno! E ho sognato che a Cracovia c’era un ebreo e che nella cantina della sua casa c’era una cassa con dentro tante monete d’oro. Ma io non sono così folle da andare a cercare un ebreo a Cracovia”. Il comandante rilascia lo straniero sconosciuto che lo ringrazia e corre a casa sua e cerca nella sua cantina la cassa… e la trova… e dentro trova il tesoro.

Qual è il senso del racconto? È che solo attraverso un viaggio e attraverso il sogno dell’altro che abbiamo la possibilità di recuperare un tesoro che è già dentro di noi ma che abbiamo perduto e non sappiamo come recuperare.

Le antiche comunità valorizzavano tantissimo i sogni, perché potevano sciogliere nodi intricati, farci capire qualcosa di nuovo e trovare speranza.

Sabbadini: Ricordiamoci però che al mondo dei sogni appartengono anche gli incubi e anche questi possono arricchire le nostre rappresentazioni del mondo; quindi, bisogna fare attenzioni anche alle parti più angosciose dei sogni. Vedendo il film di Reggio sono rimasto colpito ma anche turbato. C’è qualcosa di genuino che il regista tende a rappresentare, anche grazie ai molti collaboratori necessari. Collaborazione necessaria anche nella storia che hai raccontato: è solo nella condivisione dei sogni che si riesce a capire…

Domani sicuramente ci saranno sogni interessanti, mi è capitato con gli allievi della Scuola SIPSI con cui facciamo con Domenico ogni anno queste esperienze di guided social dreaming di individuare tratti in comune tra i sogni stimolati dalla visione di un film, come se questi sogni appartenessero ad una comunità immaginaria.

Nesci: Mi ha colpito il silenzio del Prof. Vinci, ma forse ha un significato dato il film muto che andiamo a presentare. Mi limito a consigliare a tutti di scriverselo il sogno appena fatto e non fidarsi della propria memoria. E lascio a Paolo la parola per un breve pensiero…

Vinci: Ritengo che l’aspetto filosoficamente più rilevante possa consistere nell’interrogarsi sulla tensione fra il tempo ciclico della natura e la temporalità lineare dell’esistenza umana e della storia. Il film ha un andamento circolare, ripropone alla fine ciò che era apparso all’inizio e sembra come avvolgere la condizione dell’uomo, il suo tendere incessantemente in avanti senza una precisa finalità e un senso ultimo. Restano così aperte le domande di fondo sul nostro essere nel mondo.

Vorrei sottolineare inoltre che non siamo davanti a un film che si oppone in modo schematico e unilaterale alla tecnologia, in nome della natura incontaminata. Il suo stesso linguaggio è il risultato di precise scelte tecniche, come l’uso di accelerazioni e rallentamenti. In particolare, il ricorso a un nesso inscindibile fra le immagini e la musica, che costituisce il tratto più specificamente significativo del film, offre una costruzione ritmica di notevole effetto, che qualcuno ha definito un “mosaico in movimento”.

Infine, non credo che si tratti di un’opera catastrofista, nonostante la scena di grande impatto dell’esplosione del razzo venga quasi a proporsi come la chiave interpretativa del film. Trovo che nel lavoro di Reggio e nella sua poetica vi siano diverse spie che rimandano a un’istanza di liberazione, alla ricerca di una via di uscita dalla condizione in cui ci troviamo. La bellezza estetica di alcune riprese di grattaceli è già un primo passo verso un’attenuazione del rifiuto della modernità, ma, a mio avviso, è nei primi piani dei volti colti nella folla che emerge l’indicazione della profondità dell’umano e l’istanza della sua salvaguardia. Qui troviamo forse la traccia di una trascendenza possibile oltre l’orizzonte chiuso del presente e verso nuove forme di esperienza della coscienza.

Nesci: Un’ultima rassicurazione: anche se il sogno vi sembra dica cose personali, noi lo ascolteremo cercando qualcosa che parli a tutti, perciò, non abbiate timore di raccontarlo. Lavoriamo sul sogno da un punto di vista collettivo, come un gruppo che sta insieme e condivide non solo timori e speranze ma anche i sogni dei suoi membri.

Sabbadini: Buona visione! Mi aspetto un incontro molto creativo, penso che Reggio sarebbe molto interessato!

Marco Mascioli: A domattina! Buoni sogni a tutti!

 

II parte: mattina del 16 ottobre 2022.

 

Marco Mascioli: Buongiorno, questa sarà un’esperienza di social dreaming guidato. Vi presento il prof. Paolo Vinci che con il prof Domenico Arturo Nesci condurrà questo incontro. Il prof. Vinci è un filosofo, ha insegnato alla Sapienza, ed è docente di Antropologia e di Antropologia Filosofica presso la SIPSI di Roma.

Nesci: Potete raccontare i sogni di stanotte, fatti dopo aver visto il film. Chi ha un primo sogno è invitato a condividerlo.

Sognatrice n. 1: Buongiorno, il film mi ha dato una forte ansia anche per la tecnica e la musica. Pensavo di fare un incubo stanotte, invece il sogno è stato molto energetico. Ero su un grande grattacielo strutturato come il giardino verticale di Milano. Non c’erano le piante. Io partecipavo ad una caccia al tesoro dove dovevo superare delle prove. E dovevo scendere senza corde ma solo saltando da un balcone all’altro, io ho paura dell’altezza di solito. Invece lì mi sono detta che ce la dovevo fare. Mi sentivo l’energia come se fossi allenata ad uno sport estremo e sono riuscita a scendere. E mi è venuta un’emozione grande: sei riuscita a superare una tua paura! Ed è stata un’emozione gioiosa. Poi dovevo andare in un dedalo di vie che erano spezzettate perché erano in mezzo ai palazzi. Poi sono uscita su una grande strada e alla fine io sapevo che c’era l’indicazione per la nuova prova. Solo che a metà strada mi sono svegliata.

Sognatrice n. 2: i miei sogni si ricollegano sia al film di ieri sera sia al sogno della mia collega perché avevo una prova ovvero iscrivermi alla scuola del prof. Nesci. Io dovevo scendere da un albero. Ho fatto 3 sogni, la notte è stata piuttosto agitata, per me è stato ipnotico come film e mi ha preso molto. Il primo inizia con me che dovevo iscrivermi alla scuola ma mi accorgo che qualcosa non era stato fatto per bene ed era scaduto il tempo per iscrivermi. Così inizio a cercare di capire come fare. Sono nella mia stanza ma anche all’università con una mia collega che cerca di impedirmi di parlare con il prof per dirgli che non ero iscritta. Questa ragazza aveva in mano un coltello ma mi rendo conto che è una specie di strega spalleggiata da un gruppo di uomini in giacca e cravatta e ha fatto una sorta di sortilegio per non permettermi di iscrivermi.

La seconda parte è sul tema dell’acqua perché nel film nel momento della navicella nello spazio lo vedevo come un bambino nel grembo. Mi trovo su una spiaggia e c’era un mare e questo mare ricopre delle tombe scavate nel terreno vuote. Mi rendo conto che c’è anche la mia che è tra quelle più basse e penso: “ho avuto più tempo ma non l’ho saputo usare”. Mi sveglio e mi domando: “dove nascondiamo la morte e la vita? In quel buco che è talento umano e divino”.

Altro sogno, tema acqua, so già che sta per arrivare questa acqua e io mi arrampico su un albero e questo viene sempre più scosso e rischio di cadere. Poi c’è mia nonna che è una maga e ha usato 3 scope, una di queste è di vischio secco (che ha un significato particolare per lei). Nel terzo sogno ritorna il non riuscire ad iscrivermi alla scuola.

Sognatrice n. 3: Buongiorno, premetto che ho sognato tantissimo. Ho avuto una sensazione di forte inquietudine e ho trovato diversi collegamenti con le mie colleghe che hanno parlato prima. Nel primo sogno mi trovo in una stanza da letto con una donna brasiliana. Quando mi sveglio mi accorgo che è il primo dell’anno così capisco che ho trascorso Capodanno lì da sola. Poi partiamo e a un certo punto mi ritrovo in un prato con due signore che conosco e guardiamo una piantina dell’Italia ed è segnato il percorso di un treno a vapore. Leggo il nome di due città: Fontanafredda e Mantova. Questo tragitto mette in evidenza questo percorso ma mi accorgo che non sono nella posizione giusta ma sono spostate al centro Italia. Io continuo ad avere fame e mi chiedo perché non ci siamo fermate a fare colazione. Vedo un collegamento con la caccia al tesoro della prima sognatrice, ovvero qualcosa che stiamo cercando.

Il secondo sogno è molto pesante. Ho sognato che c’era una ragazza che si voleva suicidare e me lo dice una ex compagna di liceo. Io cerco un foglio dove possa scrivere i motivi che la spingono a fare questa cosa ma faccio fatica a trovarlo. Mi dà una sensazione di farla desistere da questo intento e di salvarla.

Un terzo sogno non lo ricordo bene, ricordo delle tombe e un ragazzo che seminava degli occhiali gialli lungo la strada e gli chiedo cosa fa e lui risponde “oggi mi sposo sto preparando il percorso”.

Sognatrice n. 4: Io sarò breve, è un frammento di sogno molto angosciante. Il film mi ha creato ricordi angosciosi dell’11 settembre. È una scena distopica, mi ritrovo davanti casa della mia infanzia con il mio amico e ci troviamo nella mia auto e questo amico se ne va, mi lascia da sola e in quel momento entrano 3 doberman molto aggressivi e diventano mano a mano sempre più umani e mi mordono le mani. In qualche modo riescono ad attivare l’auto e partono quindi mi rapiscono, mi ricordo che arriviamo quasi all’autostrada. Ricordo che riesco a mollare il loro morso, so che in qualche modo li ho dissuasi dalla violenza in atto. Ho scritto un romanzo anni fa e c’erano degli uomini lupo quindi ho visto un parallelismo con questi cani antropomorfizzati.

Sognatrice n. 5: io mi trovavo in un luogo non luogo con orologi tutti fermi all’ora della mia nascita: 9.45. L’atmosfera era ovattata autunnale con nebbia, appena si dirada vedo del cibo galleggiare nell’aria, mi ha ricordato Dalì o Magritte. Tutto il cibo vola verso l’alto e anche l’acqua va verso il cielo. Tutto è senza gravità tranne me. E ho una penna e penso che dovrei scrivere queste cose che stanno accadendo. C’è solo tanto silenzio e lo trovo molto strano. Cerco persone o altri esseri ma niente. Guardo i miei piedi e sono scalza e sono bianchi per il freddo. Poco avanti ci sono dei piedi di un gorilla che sta piangendo e non mi nota. Le nuvole si trasformano in fumo e fatico a respirare e arrivo in una caverna. Trovo tantissime libellule e un lupo che dormiva all’ingresso, io non ho paura e penso che se si sono rifugiati qui seguo loro. Vedo altri animali lì (è sottoterra). Fuori sembra esserci l’apocalisse, ci sono esplosioni e suoni forti. Vengo accolta dagli altri animali e c’è cibo e acqua. Mi chiedo perché non ci sono esseri umani poi capisco che anch’io sono un animale ho le ali e le zanne. Poi penso dov’è mio figlio? E lo vedo insieme ad un panda che dorme ma era ricoperto da una pelliccia bianca. Vedo un muro con su scritto “metamorfosi” come se fosse necessario per sopravvivere e mi sveglio con la frase “il mondo ha bisogno di geni mentali o di igiene mentale?”

Sognatrice n. 6: Io ho dei sogni flash, quasi immagini. Uno di stare a guardare questi lunghi spazi come il deserto o il mare. Un altro che da piccola correvo e gridavo e mi divertivo con i miei compagni.

Sognatrice n. 7: Sono a Milano, è un sogno in bianco e nero. Sono per strada, atmosfera cupa anche se è mattina. C’è un’alluvione in atto. Non riesco ad attraversare la strada e dei camion mi infradiciano. Mi riunisco al gruppo finalmente e riconosco un ex docente di scuola di psicoterapia psicoanalitica, Antonio. Capisco che è un workshop che si sta svolgendo, è strano e ho disagio. Camminiamo. Arriviamo al Duomo nei pressi del mio studio. Arriviamo in un punto dove sembra ci siano tombe e dico “qui è stato girato un film ma non ricordo il titolo. Qui c’era il mio studio ma ho dovuto lasciarlo” quasi piango. Faccio fatica a lavorare in coppia con gli altri del gruppo e alla fine Antonio lavorerà con me. C’è piacere, imbarazzo, seduzione. Una ragazza viene a muso duro verso di me e mi dà la colpa di essere una strega e di averle fatto perdere il figlio che è un gatto bianco o un coniglio bianco. Qui c’è l’unico colore del sogno ovvero l’abito rosso di questa ragazza.

Sognatrice n. 8: Io ho due cose in comune con Marilena, il bianco e nero e il nome Antonio. Il film ha avuto un effetto ipnotico su di me e mi è sembrato di avere colpi di sonno e sognavo qualcosa. Ricordo due scene. Eravamo in viaggio io e mio marito che si chiama Antonio e altre 2 coppie. Tutto un po’ tetro. Il viaggio si stava concludendo e io e un’altra donna volevamo fare una doccia prima di ripartire. Aspetto di entrare in un appartamento dove avevamo alloggiato. Mentre aspettiamo eravamo nude. Lei e Antonio iniziano a baciarsi e avere atteggiamenti più intimi. Antonio mi guarda, io non reagisco. Dopo questo bacio continuano nelle loro effusioni. Decido che da quel momento in poi non avrei più parlato. La donna che aspettavamo esce ed è incinta, mentre esce aprono una porta dietro di noi e una donna ci dice che il tempo è scaduto. La donna consente di farci lavare ma spalanca tutto e anche un’altra porta con accesso ad un negozio tipo supermercato. Entro nel bagno, esco e non vedo più nessuno dei miei compagni di viaggio, mi rimane solo un senso di solitudine. Mi ha colpito questa mia decisione di non parlare più e questa donna incinta e la porta sul negozio.

Sognatrice n. 9: Il film non mi è piaciuto tanto e l’ho trovato inquietante. Mi sono segnata di aver sognato un mostro che mi voleva uccidere. Con 2 teste e un collo senza testa sopra. Mi chiedeva se mi poteva inglobare il che mi inquieta molto. Al risveglio mi sono ricordata che una mia paziente mi aveva fatto vedere un acchiappasogni e mi sono andata a studiare le leggende e ho scoperto che servono a trattenere i sogni positivi (la parte della ragnatela) e lasciar andare i negativi (la parte delle piume). Mi ha inquietato vedere le cose mandate indietro nel film e poi ho capito che ha un significato. Perché se succede questo accade quest’altro. Le profezie degli Hopi mi hanno colpito molto tra cui una frase sulle ragnatele.

Sognatrice n. 10: È successa una cosa strana ieri, pensavo di avere il link ma non lo avevo incollato e ho ricercato allora il film e mi sono resa conto che stavo vedendo il film al contrario. Il film non lo so dire se mi è piaciuto, non lo volevo vedere avevo paura mi avrebbe turbata troppo. Ma poi mi ha dato meno fastidio di quello che pensavo. Il mio sogno ha elementi in comune con gli altri. Ero in un autobus con mio marito e 7 figli. Dobbiamo scendere così li chiamo per scendere, scavalco delle sedie e dico di scendere. Trovo una delle figlie che poteva avere 5 anni che parlava con una signora e mi dava una brutta impressione (tipo strega) e le diceva di tenersi con sé quello che le aveva dato. Scendiamo dall’autobus e c’era davanti un’altra signora che si mette a parlare con un’altra figlia che inizia a piangere e mi chiede di farla smettere. Io cerco di mandarla via e consolo mia figlia (è malata di mente le dico) e questa signora sente quello che ho detto, si infuria e torna da noi e mi tira una scarpa. Entro nel negozio e dico a qualcuno che dobbiamo fare un TSO a quella signora. Fuori iniziano ad esserci tantissime persone tra cui anche degli assassini, io non so più dov’è mio marito e i miei figli. Una mia amica riesce ad entrare nel negozio, ma da fuori una mano riesce ad entrare e prende la mia amica sulla bocca, lei si libera. Sento un rumore forte e mi sveglio. Ho fatto tanti sogni in realtà. In alcuni c’erano numeri in altri [delle] scritte, un altro era di notte e un uomo era bloccato con la macchina perché c’era una zebra.

Sognatrice n. 11: Faccio una premessa, sono di indirizzo etnoantropologico e faccio ricerca sul campo. Durante il film cerco di estraniarmi da ciò che vedo. Ho fatto 3 sogni. I primi 2 non li ricordo. Ero al mare in vacanza, a Terracina. Su una strada a passeggio con una bambina che è probabilmente mia sorella ma lei ha 4 anni. Il sogno è color sabbia tranne il colore del vestito della bambina che è rosato. [Interruzione audio – riprende dopo] Chiedo alla bambina se vuole un gelato, lo prendiamo. la bambina è contenta e riprendiamo a camminare. Si fanno le 8 e la bambina vuole di nuovo il gelato dove lo avevamo preso prima ma è tutto chiuso. Entriamo in un tabaccaio e le prendo delle caramelle ma rimane imbronciata. Una signora la vede e chiede alla bambina cosa c’è che non va. Non ci siamo mai lasciate la mano per tutto il tempo e alla fine riprendiamo la nostra strada.

Sognatore n. 12: Quando ho iniziato il film ho pensato a Pompei e al concerto dei Pink Floyd a Pompei e ricordi di una visita recente che ho fatto. Ho 2 sogni: nel primo ero in un paese dove andavo da piccolo, ero con un gruppo di persone e c’era un adulto e ci dice che dobbiamo passare in un passaggio sotterraneo e poi scopro che in tasca ho una torcia. Cominciamo a scendere e lì mi sveglio.

Altro sogno, dall’altra parte del tunnel, c’è un gatto su un ramo in una posizione innaturale, sembra un corvo. La sensazione di inquietudine è passata e c’è meraviglia.

Sognatrice n. 13: Ho diversi flash, il primo perdo la macchina e la cerchiamo con la mia amica e le dico di non preoccuparsi e la tranquillizzo. Le dico di rallentare. Poi siamo in una stanza con diversi professori di scuole di specializzazione e piantano davanti a noi delle piante finte. Ci dicono che dobbiamo proteggere queste piante. Io decido di proteggerle ma dei colleghi iniziano a litigare per queste piantine. I prof ci dicono che è un gioco e ci dobbiamo rilassare. Poi c’è un lupo che è cattivo e mi spavento. Torno indietro e avverto gli altri. Arriva il lupo ed è diventato un cucciolo allora i colleghi pensano che l’ho fatto per imbrogliarli. Mi ha colpito la presenza del lupo che anche altri hanno sognato. Il film è affascinante e fuori dal tempo.

Sognatrice n. 14: Vedere il film è stata un’esperienza incredibile. C’è stata la meraviglia e l’inquietudine, la musica dava coerenza narrativa. Mi ha colpito la modernità di questo film ovvero che il tempo prospettico fosse raccontato a ritroso. Mi ha colpito una scena in cui si vedeva il cartello “gran illusion” che si dissolveva e poi c’era un cartello con la scritta “real” che non era in dissolvenza. Nel mio sogno vedevo una villetta americana bianca con una striscia davanti e c’erano una donna con vicino un bambino e una bambina di 4/5 anni. A un certo punto accanto a loro la terra sprofondava come se si aprisse una voragine e loro rimanevano fermi su questa zolla di terra.

Sognatrice n. 15: Ho in mente 3 immagini di stanotte, una a cartone animato di un indiano con una fascia sulla fronte nera che occupa tutto lo schermo e afferra e stritola dei martelli che erano gli stessi del film The Wall dei Pink Floyd. La seconda immagine è un libro con una copertina un po’ rovinata che si apre e c’è un pennino che scrive ma man mano le parole si cancellano. La terza immagine ci sono io che scendo le scale ed entro in un cunicolo nero; rispetto a questo sogno mi sono poi ricordata di un altro sogno fatto dove mi trovavo a Genova in un teatro e vedevo mia cugina salire una scala di marmo, io entravo nel teatro e in una stanza c’era un piccolo presepe, ma era Pasqua non Natale, accanto c’era una porta. Apro la porta e scendo le scale, continuo a scendere e trovo una caverna e c’è un fuoco che si autoalimenta e penso “questo è il sacro”.

Sognatrice n. 16: Il film mi creava un’ansia profonda e mi sono dovuta dire “questa è la rappresentazione di quello che stiamo vivendo” per rasserenarmi. La sensazione onirica è un sogno flash: so di essere in mezzo a un gruppo di persone ma che non vedo. Una signora mi dice “ora ti devi mettere questo cappello” che è un turbante (simile). Poi mi sveglio.

Sognatore n. 17: Mi ricordo 2 sogni. Nel primo mi fermo in autogrill e scopro che ci lavora mio fratello. Arriva la proprietaria dell’autogrill mentre aspetto che sia pronto il mio menu. Mi costringono a prendere una pizza. Io esco e vado alla macchina e vedo 3 persone di carnagione scura in giacca e cravatta che osservano una luce. E appare un cartello con scritto “qui c’è Gesù”. Io non mi fermo e riparto. Secondo sogno: sono in una sala col Signor Raspone e dice che qualcuno si è sentito male dopo che ha raccontato un sogno. Io gli dico che ho provato lo stesso malessere ascoltando il sogno. Mi metto sul fianco e c’è Valerio Armenti (è un ragazzo famoso sui social) e mi dice che sta facendo la scuola SIPSI.

Sognatrice n. 18: Io porto solo una porzione di sogno. Sono a Torino e devo prendere il treno Torino-Venezia. Per strada incontro 2 signore che conosco e dico che vado via. Una signora mi dà il suo numero e va via velocemente e io quando trovo un foglietto per scriverlo l’ho già dimenticato. Parto ma la strada è allagata, sembra Venezia. L’acqua è alta tipo 1.5mt. Lì in mezzo c’è una macchina operatrice con braccia lunghe e chiedo agli operatori di aiutarmi a farmi passare. Lo fanno e uno dei due ci prova con me. Mi rendo conto che se devo prendere l’autobus devo attraversare un altro canale. Mi aiutano e mi fanno pagare. Arriva l’autobus e gli dico di aspettare. Prima era vuoto ora c’era una gran ressa. L’autista si è fermato per curare un uccello ferito che sembra un tacchino senza penne. Noto che ha ferite sul corpo. Grazie alla sosta dell’autista riesco a prendere il pullman. Riguardo al film mi ha colpito il camminare all’indietro e la domanda che mi è rimasta è “ma si potrà tornare indietro?” ma so che si può solo andare avanti con grande rammarico. Il film mi ha lasciato “risolta” in qualche modo e un certo equilibrio.

Sogatrice n. 19: Ho ascoltato per 5 minuti la musica la sera prima (venerdì sera) che mi ha lasciato una grande angoscia. Non ho sognato stanotte dopo il film, ma venerdì mentre ero in dormiveglia ho sognato la morte e mi guardava con un sorriso sarcastico e ho iniziato a tremare così tanto che mi sono svegliata. Il giorno dopo mi sono accorta, cercando su internet, che era uguale a quella dei tarocchi. A volte durante il film ho dovuto togliere delle immagini per difendermi un po’ perché ero molto angosciata.

Sognatrice n. 20: Prima di ieri sera, qualche sera fa sono andata a vedermi il film ma rimasta interdetta perché non mi convinceva. Ma quella sera ho fatto un sogno. Sogno: sono in una piazza in alto, devo scendere giù e scendo dai tubi e dai tetti. Dei signori che sono sulle terrazze mi aiutano a tornare su ma resto appesa nel vuoto e mi cade tutto, la borsetta e vari fogli che avevo. Ieri sera me lo rivedo (il film) e sogno di nuovo. Sogno che sono col Dr Nesci in una stanza con tante persone dove il Dr Nesci dice che dobbiamo dare una ricetta a una signora. Cerchiamo di individuare nei volti di queste persone anziane quella che cerchiamo ma non la troviamo. Questi volti mi rimandano ai volti del film. Noi è come se fossimo degli scanner che dobbiamo riconoscere le persone. Provo a scrivere sul computer ma non riesco perché la tecnologia è molto avanzata.

Sognatrice n. 21: Non ho un sogno intero da portare ma frammenti del film, perché mi ha lasciato un po’ di inquietudine ma ci sono vari frammenti del film che mi hanno ricordato la mia infanzia degli anni 80 e a quel sentimento che la catastrofe stava per arrivare. Come una danza, nel film, che direi universale… immagini e musica che dialogano e comunicano. Un grosso octopus mi ha colpito e mi ha ricordato un altro film. Altro film che mi ha ricordato è stato Matrix per certi versi.

Sognatrice n. 22: il film l’ho trovato affascinante magnetico e ipnotico. Mi ha attivata molto perché alle 4.45 sentivo di alzarmi ma dato che era presto mi sono messa a leggere un po’ e ho ripreso sonno. E lì ho sognato, in bianco e nero. Mi trovo in un piazzale ampio, c’è un’automobile con gli sportelli aperti come se dovesse partire a breve e vedo arrivare in lontananza i miei ex colleghi della scuola di specializzazione, sono 3, e c’è della tristezza nell’aria.

Sognatrice n. 23: Pensavo di vedere il film ieri sera dopo aver visto il film L’Era glaciale 3 (film a cartone) e Sapiens (programma Rai) ma poi l’ho visto stamattina prima di lezione. Era un po’ inquietante e penso di averlo visto al contrario dalla morte alla rinascita. Mi ha colpito la scena dei wurstel e la scala mobile che mi ha fatto pensare agli allevamenti eccessivi e alla produzione continua… vedevo gli anni 80 come lenti; invece, mi ha fatto pensare che forse è da lì che si è velocizzato tutto. Vedere dal dopo la prima mi piace perché è come prevedere qualcosa. Ho pensato che nel film mancava il mare e mancava un cimitero. Perché immaginavo tutte quelle persone nel film e pensavo anche alla fine. Eros e Thanatos insieme.

Sognatrice n. 24: Ho sognato di essere in un viaggio come in una centrifuga/vortice che mi portava al centro della terra che io ho visto come se fosse disegnato su un foglio bianco. Ho avuto la sensazione di roteare e l’ho associata al viaggio di Dante e ho provato terrore e curiosità. Si sono formate delle forme di personaggi non definite. Poi ho pensato che il viaggio di Dante era altro e ho pensato di volerci stare in questo posto.

Nesci: Vorrei dare ora un senso a questi sogni. Avrete notato che c’è un ritorno di alcune tematiche: alluvione, acqua, cadere, catastrofe, madri, bambini, donne incinte, tombe, cimiteri.

Tutto ci riporta alla catastrofe e anche alla meraviglia: “terrore e curiosità”. La prima cosa che mi è venuta in mente è che nell’anima segreta del film c’è un discorso non esplicitato che con i vostri sogni diventa manifesto, quello che c’è stata una catastrofe nell’evoluzione della specie umana, ma anche con risvolti capaci di stupirci. In Sapiens, di Harari, nel 2011, viene ripresa una teoria che avevo già preso sul serio in un mio libro [La Notte Bianca] del 1991: la teoria del dilemma ostetrico. Harari scrive che la “mutazione dell’albero della conoscenza” diede origine alla specie sapiens-sapiens che era geneticamente diversa dalle specie umane precedenti.

È stato da poco letto il genoma umano e abbiamo scoperto che l’1% dei nostri geni vengono dall’uomo di Neanderthal. Qual è la caratteristica fondamentale di questa mutazione che, a mio modo di vedere, ascoltando i vostri sogni, aleggia nel film? Il passaggio alla stazione eretta. Un passaggio cruciale che ha prodotto cambiamenti interessanti ma anche opposti: la specie umana si è alzata in piedi ma, in conseguenza di questo, sulle ossa del bacino è caduto il peso della parte superiore del corpo, causando il progressivo restringimento delle ossa del bacino e quindi del diametro del canale del parto mentre le mani sono diventate libere dalla locomozione favorendo così l’encefalizzazione e lo sviluppo degli emisferi cerebrali laterali. Questo avrebbe portato alla nascita del dilemma ostetrico, ovvero: “come farà una donna con un canale del parto così stretto a partorire un bambino che ha una testa così grande?”

La mutazione dell’albero della conoscenza ha prodotto l’encefalizzazione umana, lo sviluppo degli emisferi cerebrali laterali, l’ingrandimento del cervello e quindi del cranio… Lì c’è stata la catastrofe. Il cimitero, che qualcuno ha nominato prima, è nell’inconscio del film… I nostri sogni hanno recuperato questo scenario preistorico… tantissime sensazioni arcaiche…

Noi abbiamo rievocato una numinosa, meravigliosa ma terribile, catastrofe originaria… siamo tornati alle origini della capacità di pensare, alle mutazioni che hanno cambiato la specie umana. La possibilità di avere le mani libere ci ha consentito di inventare strumenti di creare culture… la scrittura… nei vostri sogni c’è una penna che scrive/non scrive…

Secondo le nostre ricerche degli anni Novanta (Averna et al. 1990) Prima le donne partorivano dopo 42 settimane e morivano… Oggi si partorisce a 40 settimane e la tendenza è quella di partorire sempre prima per ridurre la possibilità di morire di parto. La specie è cambiata e ha affinato la capacità di pensare e inventare nuovi strumenti tecnologici. Qui siamo di nuovo ad un bivio, la trasformazione… il rischio catastrofico… ci modifichiamo sempre più e siamo già mezzi bionici… lenti a contatto, protesi acustiche…

Ci sono tanti spunti nei nostri sogni su metamorfosi e cambiamenti… e su come pilotare tutto questo…

Vinci: Vorrei esprimere un senso di gratitudine verso i sogni che avete presentato. Per me è la seconda esperienza di questo tipo. Da un punto di vista filosofico non mi sembra possibile ricondurre la pluralità degli interventi a un senso complessivo; ciò che ho ascoltato mi induce quindi a proporvi tre citazioni che rimandano alle mie esperienze di studio.

La prima suona in questi termini: “laddove c’è il pericolo cresce anche la salvezza” (si tratta di un verso di Friedrich Hölderlin ripreso da Martin Heidegger). Pur non volendo essere un film ideologico, l’opera di Reggio suggerisce implicitamente un modo diverso di rivolgerci alla natura e nello stesso tempo sollecita la ricerca di nuove forme di legame sociale. Mi sembra che i sogni di oggi manifestino, ognuno a suo modo, la spinta verso un’esperienza interumana più ricca e appagante.

La seconda citazione è di Marx, il quale afferma nelle sue opere filosofiche giovanili: “la natura è il corpo inorganico dell’uomo”. Questo nesso compare in moltissimi sogni di oggi che presentano la porosità del confine fra noi e gli animali, l’istanza di una non chiusura in sé stesso dell’umano, tanto in senso individuale che collettivo.

La terza citazione consiste in un’espressione di Walter Benjamin, che a proposito della sua e ancor nostra contemporaneità parla di “agonia raggelata”. Siamo in un mondo che sembra andare verso la catastrofe, in un “finire” che però resta tale, “non finisce”. La realtà attuale appare come un orizzonte segnato dalla totale mancanza di un progetto di superamento.  Tuttavia, non si tratta di rassegnarsi all’eterno ritorno dell’uguale, ma sia nel film che nei sogni emerge sottotraccia non solo la ricerca di un “rifugio” che sia a misura di ciascuno nella sua unicità, ma anche la capacità catartica di fare i conti con le proprie angosce e lo sforzo di un costante confronto con l’altro.

Nesci: Ridiamo la parola a voi…

Sognatrice n. 25: Mi ha coinvolto particolarmente questo film perché nel 2019 ho fatto un viaggio nel Nord Dakota e Wyoming nelle riserve indiane e abbiamo avuto la fortuna di approfondire la loro cultura nella quale non esiste come parola “spazio” e “tempo”, questa è la loro realtà che anche a me sta stretta spesso. Questo decollo spaziale all’inizio del film mi ha fatto pensare al tumulto che ho collegato al titolo del workshop. Ho sognato queste immense praterie e queste nuvole che correvano e nel sogno dicevo ai miei familiari “vedete abbiamo fatto bene a venire qui, non ci sono i missili” ed eravamo felici stile “casa nella prateria”.

Sognatrice n. 5: A me hanno colpito molto gli elementi tra il maschile e il femminile cioè i sogni degli uomini e delle donne. E poi penso che chi non ha sognato ora non è detto che non lo faccia nei prossimi giorni. Sono rimasta affascinata dai commenti del Dr. Nesci e del Dr. Vinci.

Sognatrice n. 26: Volevo far notare che abbiamo visto in tanti il film al contrario e a volte ho avuto le vertigini e mi ha colpito che la musica andasse perfettamente con gli eventi comunque. E il fatto di finire con la natura è un inconsapevole messaggio che la risposta è nella natura, perché è lì la nostra salvezza.

Sognatrice n. 27: Io volevo ringraziare per questa esperienza di vita che ci avete dato. A proposito della tecnologia, sono felice di conoscere il Professor Nesci. Io ho fatto 3 sogni stanotte ma non so riportare nulla perché mi sono svegliata ma non sapevo cosa avevo sognato. Questo mi ha fatto pensare che [i miei sogni] erano talmente nell’inconscio che non potevano essere pensati o immaginati. Riguardo ai passaggi di vita, io sto vivendo un passaggio: quello della vecchiaia.

Sognatrice n. 28: Il lavoro fatto oggi mi pare un lavoro sulla coscienza collettiva e ci mette in rete e ci rende più consapevoli che quando ci mettiamo in relazione con gli altri stiamo portando questo cambiamento e possiamo riconoscere questo anche per gli altri. Il recupero della coscienza collettiva, nei popoli antichi veniva utilizzato molto spesso e penso che ora lo stiamo utilizzando di nuovo.

Sognatrice n. 1: Ringrazio i professori per gli spunti di riflessione e volevo segnalare un mio lapsus che può sembrare banale. Quando ho parlato del palazzo Boeri ho detto “giardino verticale” ma in realtà si chiama bosco verticale. E devo dire al Prof. Vinci che anche il mio sogno era molto energetico e anche secondo me può essere visto come una catarsi.

Sognatrice n. 14: Dopo che ha parlato il Prof Vinci ho pensato anche al titolo di questo film che è in cerca dell’equilibrio, e che la parte iniziale del film nel mondo senza uomo… quello è un mondo senza movimento. Noi abbiamo bisogno dell’ingaggio sociale e nei sogni è emerso [questo aspetto] perché c’erano sempre dei collaboratori.

Sognatrice n. 2: Volevo aggiungere che il film visto al contrario è stupendo e ho sentito molto il tema della reversibilità non sapendolo che lo stavo vedendo al contrario. Mi ha dato un senso di rasserenamento quando arriva questa immensa luna, mi sento grata a questa luna dopo un caos poco sensato.

Sognatrice n. 7: Sono in un paradosso perché la complessità dei temi che si stanno intrecciando non so bene dove mi portano. La prima questione è: dato il clima storico che stiamo vivendo, ieri sera sono stata vittima di un pensiero paranoide cioè mi ha portato ad avere una notte sull’attenti dato il clima del film e come lo stavo vedendo (al buio e con le cuffie). Interessante la dimensione circolare e il modo rotondo in cui i sognatori hanno vissuto il film, forse palindromo.

Vinci: Il film chiama a una diversa modalità di vita… un nuovo modo di relazione. Nei sogni portati emerge: curare l’uccello ferito e il non riuscire a riconoscere gli anziani. Mi sembrano due indicazioni importanti sul piano etico.

Marco Mascioli: faccio una battuta: “per il prossimo workshop ci servono dei volontari che facciano i poliziotti e altri che facciano i carcerati”

Nesci: il tempo è trascorso… devo concludere questo incontro… prenderò spunto da questa battuta di Marco che mi ha fatto tornare in mente il Prof. Zimbardo che fece quel perturbante esperimento alla Stanford University, a Palo Alto, a cui Marco allude. Sono stato varie volte in quel celebre campus universitario, e la prima volta invitato proprio da Zimbardo ad insegnare un summer course su guerra genocidio e suicidio collettivo. In quel periodo stavo scrivendo “La Notte Bianca” il mio primo libro sul suicidio collettivo di Jonestown, una comune utopica nella giungla della Guyana dove un gruppo di 900 persone, nel 1978, si sono suicidate in un’ordalia del veleno al cianuro… Ripensando a tanti anni fa, al mio lavoro a Stanford, mi veniva da pensare che in quel corso sui riti di morte della specie sapiens avvenne un fatto imprevisto: fu concepito (e poi nacque) un bambino. Nonostante il mio corso trattasse un argomento terribile, perché si parlava soprattutto di suicidio collettivo… un’allieva diede alla luce un bambino.

Per me fu un’ispirazione… al momento del tutto inconscia. Pochi anni dopo mi venne in mente di invertire la direzione della mia ricerca, anche grazie al fatto che avevo conosciuto e sposato Simonetta che stava diventando ginecologa e che oggi vedete qui accanto a me. Pensai: e se invertissi la mia vision?  Se tentassi di applicare quello che ho imparato dalle “lezioni” di Jonestown sulla simbiosi patologica di un corpo sociale per cercare di prevenire un’altra patologia della simbiosi umana, quella delle donne che rischiano di perdere la gravidanza e che si ritrovano ricoverate nel reparto di patologia ostetrica del Policlinico Gemelli?

Inconsapevolmente, con il nostro protocollo di ricerca sulla vita prenatale, noi abbiamo fatto un maternage a queste donne in gravidanze ad alto rischio. Abbiamo ricreato un setting che riproduceva a livello immaginario il primordiale gruppo delle madri che aiutava le donne a partorire e di cui avevamo riscoperto le radici antropologiche proprio grazie allo studio del suicidio collettivo del Peoples Temple.

Concludo dicendo quindi che, paradossalmente, potrebbe essere di buon auspicio il fatto che molti di noi hanno visto il film alla rovescia… se noi, con lo stesso spirito e l’elasticità che consentono di muoversi tra eventi reali ed eventi metaforici, tra eventi del corpo sociale e del corpo biologico, ci applichiamo allo studio di fenomeni complessi come quelli di Koyaanisqatsi e riprendiamo la chiave di lettura del sogno, del cinema e dell’arte, forse possiamo ritrovare qualcosa di buono anche in qualcosa che, a prima vista, in prima battuta, pensiamo sia solo catastrofico… Grazie!

 

Bibliografia

 

Averna, S. et al. (1990) “Il gruppo sinciziale nelle gravidanze oltre termine ‘vere’”. Atti della SIGO, Brescia, Clas International, pp. 233-234.

Freud, S. (1929) Il disagio della civiltà in Opere vol. 10, Bollati Boringhieri.

Hölderlin F. (1803) Patmos

Marx, K. (1844) Manoscritti economico-filosofici

Nesci, D.A. (1991) La Notte Bianca – studio etnopsicoanalitico del suicidio collettivo. Armando Editore.

Nesci D.A. et al. (1998) “Nuovi orientamenti in Psicosomatica ostetrica e ginecologica” in Patologie e Psicologia Medica, Orlandelli E., Sanna M.A., Azzoni A. (Editors), SEU, Roma, pp. 79-94.

Nesci D.A. et al. (2001) “La poliabortività nel setting ospedaliero: riflessioni etnopsicoanalitiche sulla prevenzione del trauma psichico. Atti del Convegno “Gravi stress, traumi e salute in ambiente ospedaliero” a cura di M. Sgarro, Edizioni Kappa, 2001, pp. 83-89.

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Sabbadini A. (2014) Moving Images: Psychoanalytic Reflections on Film. London: Routledge.

Vinci P. Benjamin Dispense di Sociologia della Comunicazione. https://www.docsity.com/it/benjamin-di-paolo-vinci/7319110/