“Qualsiasi teoria cerchi di spiegare l’esistenza delle menti e della coscienza
ignorando il sistema nervoso è destinata al fallimento… D’altra parte, qualsiasi
teoria si appoggi esclusivamente sul sistema nervoso è destinata a fallire
anch’essa…”
Antonio Damasio (“Sentire e Conoscere”)
Dopo aver guardato i film proposti gratuitamente a tutti gli psicologi italiani nei tre workshops “cinema e sogni” (Nesci, 2012-13) su “La sfida del futuro” dalla nostra Scuola di Psicoterapia sul portale di FCP, sono nate in me alcune riflessioni in cui mi sono immersa, lasciandomi libera di vagare seguendo il mio flusso associativo. In quello stato crepuscolare che precede il sonno mi sono fatta trasportare dalle onde dei pensieri, subito dopo aver visto i films, ed al risveglio ho notato che questi pensieri mi hanno accompagnato nell’arco dei giorni seguenti in modo così insistente che mi hanno, a più riprese, portato via attenzione dalle attività che stavo svolgendo.
Le visioni dei tre films hanno sollevato in me un interrogativo a cui non riesco a dare una risposta esaustiva, e cioè che cosa descriva esattamente il costrutto di coscienza e in cosa consista la consapevolezza dell’esistere (Damasio, 2018).
Nel primo film che abbiamo visto, “Ex Machina” di Alex Garland, il regista ha presentato una tematica che da tempo impegna gli ingegneri della robotica, vale a dire se sia possibile creare un computer dotato di consapevolezza, o meglio un automa pensante che replichi le funzionalità della mente umana.
Sarà forse la sete di creazione che è in noi e non trova saturazione e compimento negli accadimenti della vita stessa, che ci spinge a pensare di poter replicare il complesso funzionamento della nostra mente. Creare una macchina come noi, anzi con abilità più strabilianti di noi, ma soprattutto immortale, sembra essere la sfida della robotica. Se si pensa ad un replicante, lo si pensa però perfetto, libero da desideri e pulsioni umane, una versione migliorata del creatore stesso.
Non si comprende come ciò possa accadere, infatti nel film non accade, poiché la macchina si ribella e uccide uno dei protagonisti, ignorando proprio la prima legge della robotica che vieta alle macchine di compiere atti che possano recare danno all’uomo (Asimov, 2021).
È un paradosso ma quando pensiamo di creare automi con funzioni mentali umane, sembrerebbe che non siamo capaci di immaginare che essi possano non divenire “umani, troppo umani”, che possano non acquisirne gli stessi limiti.
Perciò, continuo a chiedermi con insistenza, ma cos’è esattamente quel qualcosa che ci fa essere coscienti di essere noi? La mia mente vaga, molteplici associazioni si susseguono, ma non trovo risposta.
Mi immergo nella visione del secondo film “Moon” del regista Duncan Jones, qui le associazioni vanno al tema del doppio, alla molteplicità dei sé e delle immagini interne che concorrono a definire ciò che noi accogliamo come identità. Quella realtà interna rappresentativa di un me, che in questo film si confonde e si misura con la realtà esterna riflessa in un clone. Il tutto confusivo quanto basta alla maestria del regista, per dare coerenza ai dialoghi.
Tuttavia, quei dialoghi mi fanno pensare alla scissione dello psicotico, in cui dentro e fuori si confondono nel creare immagini o sensazioni esternalizzate. Una futuristica metafora pirandelliana, in cui “uno, nessuno, centomila” possono essere le personalità dei cloni che rivendicano l’unicità dell’esistere, e il diritto ad essere “io”.
Nuovamente il mio flusso associativo di pensiero torna ad immergersi nel tema della coscienza: cosa ci porta a dire, io sono io, e non sono ciò che vedo fuori di me, anche se uguale a me, come ad esempio un gemello o un clone? Continuo a riflettere…
Mi immergo anche nella visione del terzo film “In Time” regia di Andrew Niccol, viene infine toccata la tematica del tempo, concetto difficile da sondare anche per i fisici (Rovelli, 2017).
Il tempo nel film è un bene, una moneta di scambio, una risorsa tangibile che permette il controllo sulla popolazione a favore di pochi. Una trama che ancora una volta ci scuote e ci proietta in una realtà distopica, in cui la vita viene scandita letteralmente da un timer che ne controlla la durata.
Anche in questo film sento pervasivo il tema della coscienza, penso che senza di essa, il concetto di tempo non acquisirebbe senso e non esisterebbe nemmeno come entità ontologica, mi chiedo infatti, se possa esistere un tempo che non è pensato…
Non credo possa essere il tempo a definirci quanto piuttosto noi a definirlo dal momento che diveniamo consapevoli del transitare da un prima ad un dopo.
A proposito di tempo, ne è passato molto, da quando Claude Shannon nel 1948 formulò la teoria dell’informazione trasferibile da bit attraverso un codice binario 0-1, in cui una cosa è o non è (Shannon e Weaver, 1963).
Da qui è parso possibile trasportare, partendo da un linguaggio biochimico, la funzionalità della nostra mente in una macchina che potrebbe diventare pensante, tramite bit d’informazione. Il presupposto da cui si parte è che se il computer funziona come un cervello, se si aumenta la complessità dei dati incamerati, anch’esso potrà divenire cosciente di sé.
Ma ciò non accade nemmeno oggi in cui si usano quantum bit d’informazione nei processori quantistici.
Ci si è resi conto che segnale elettrico informativo ed esperienza ad esso correlata, non sono la stessa cosa, segnale elettrico ed esperienza non sono quindi sovrapponibili.
La coscienza, pertanto, sembra non essere riconducibile alla sola meccanicistica funzionalità del cervello (Damasio, 2022).
Su questo i ricercatori sembrano convergere. Alcuni affermano che essa non è un fenomeno spiegabile dalla fisica classica e deterministica, ma solo in parte sondabile dalla fisica quantistica.
Si ipotizza quindi che essa sia il campo che organizza e dà senso ad una molteplicità di dati provenienti dall’esterno e messi a confronto con quelli già depositati nella banca dati della memoria personale. Per dare origine all’esperienza di “io sono”, è necessario fare qualcosa di più che analizzare una mole enorme di dati. L’esperienza di essere cosciente, non può che essere una derivazione di elementi ben più sofisticati. Ci deve essere altro che dà senso all’informazione che attraverso i sensi arriva al cervello, che la trasduce e poi la organizza dando origine all’esperienza, unica per ognuno di noi.
Se non fosse così nell’uomo non esisterebbe una discrezionalità personale sia nel sentire che nell’agire, ma sarebbe tutto derivabile da una causalità fra eventi e di risposte ad essi. Ma essere consapevoli di esistere, provare sensazioni e sentimenti, è molto più di una serie di funzioni neurofisiologiche in risposta ad uno stimolo (Chalmers).
La coscienza, dunque, sembrerebbe svolgere una funzione di organizzatore di senso a ciò che accade fuori e dentro noi stessi, cioè il soggetto che si osserva mentre è consapevole di osservarsi. Complicatissimo!
Questi concetti danno centralità all’uomo rispetto alla macchina e allo stesso tempo ridimensionano un po’ la sua onnipotenza creativa. Non so se e quando il funzionamento della mente umana possa essere clonabile, replicabile in una intelligenza artificiale che apprenda a riconoscere sé stessa e ad organizzarsi secondo autocoscienza.
Ad oggi possiamo soltanto constatare, che ricreare attraverso l’ingegneria robotica una mente senziente sembra ancora un’utopia, ma un genio un tempo disse:
“tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa” (Albert Einstein).
Bibliografia
Asimov Isaac, I Robot, Mondadori 2021.
Chalmers David, Nicola Zippel, Feltrinelli, 2020.
Damasio Antonio, Lo Strano Ordine delle Cose, Adelphi, 2018.
Damasio Antonio, Sentire e Conoscere, Adelphi, 2022.
Nesci Domenico A., Multimedia Psychotherapy: A Psychodynamic Approach
for Mourning in the Technological Age, Jason Aronson, 2012-13.
Rovelli Carlo, L’ordine del Tempo, Adelphi, 2017.
Shannon Claude E. Weaver Warren, The Mathematical Theory of
Communication, Illinois Press, 1963.