In Time è un film del 2011 scritto e diretto da Andrew Niccol. Le vicende narrate sono ambientate nell’anno 2169, in un’era in cui gli individui sono geneticamente programmati per vivere fino all’età di 25 anni.
Da quel momento in poi, attraverso un chip installato nel loro braccio, parte un conto alla rovescia che permette loro di vivere solo un anno al termine del quale sono destinati a morire. Tuttavia, è possibile allungare la propria speranza di vita: infatti il tempo è, in quest’era, divenuto una vera e propria valuta, attraverso la quale la gente viene pagata. Così si è venuto a creare un mondo in cui i ricchi possono vivere pressoché per sempre, senza, per altro, invecchiare, mentre i poveri cercano continuamente di guadagnarsi qualche altro giorno da vivere. Proprio in questo contesto, Will Salas (Justin Timberlake), venticinquenne da tre anni, decide, a seguito di un fortuito evento che gli permette di guadagnare un secolo di vita, di tentare il tutto per tutto per sovvertire l’ordine precostituito del suo mondo e riportare l’uguaglianza tra ricchi e poveri.
Questa pellicola, che non avevo ma avuto occasione di vedere prima che fosse proposta all’interno del workshop della Scuola SIPSI, si è incredibilmente intrecciata ad una mia splendida esperienza personale: nel maggio di quest’anno sono stata per la prima volta un fotografo accreditato al Festival di Cannes, un vero sogno per una fotogiornalista e in generale per chiunque ami il Cinema.
Riguardo al film In Time, sono stata molto colpita dal concetto di Tempo che viene fuori dalla pellicola e che purtroppo combacia molto con una mia idea personale: nel mondo odierno, io credo, è veramente ricco colui che possiede tempo; tempo per amare e godere della propria famiglia, tempo per le passioni, tempo per i desideri.
Quando nell’esistenza di tutti i giorni siamo costretti a mettere il pilota automatico e a dedicarci ai vari obblighi senza il minimo piacere, senza che vi sia un desiderio sincero ed essenziale in ciò che facciamo, la parte più vitale di noi inizia a morire- e credo che la metafora del film sia proprio questa. La visione della pellicola ha generato in me dei sogni un po’ angosciosi- ho sognato che stavo perdendo un aereo molto importante e poi che non riuscivo a raggiungere una meta che avevo desiderato da tempo.
Ecco che il tempo di morire diviene tempo di vivere. Si inizia ad apprezzare il tempo (che nel film è considerato come moneta sonante) quando comincia il conto alla rovescia, quando la clessidra viene capovolta e la sabbia, che prima scorre lentamente, ad un certo punto scorre via rapidissima, un granello dopo l’altro.
Le coincidenze le noti solo quando tutto è finito. Non sono ancora fuori dal Festival di Cannes, che si è chiuso questa notte, e forse non lo sarò ancora per giorni- il materiale su cui lavorare è ancora tanto e io guardo le mie fotografie con un misto di gioia e paura. Paura che le immagini finiscano, che non siano state abbastanza per mettere a fuoco quegli istanti che erano nella mia testa prima ancora che potessi inseguirli con lo sguardo.
Ma, dicevo delle coincidenze…
Ho iniziato con la Mostra del Cinema numero 76 e, neanche a dirlo, il mio primo Cannes è proprio il numero 76. Mi viene in mente solo ora e forse non significa nulla. Le coincidenze iniziano a diventare una specie di rete dell’amore, un intrigo dei sentimenti, quando mi accorgo che il Festival termina proprio ad un anno esatto dalla scomparsa della mia Trudi, la gatta che mi ha accompagnata per dieci anni della mia vita. Sono stata così male tanto da non riuscire neanche più ad immaginare un sogno come quello appena trascorso, un sogno per uomini svegli in una baia fantastica, fra strade eleganti e fiorite, un Palais des Festival enorme, modernissimo, gremito di un pubblico internazionale. E mentre salto dalla sala stampa al meraviglioso padiglione del photocall (non finirò mai di ringraziare il fotografo estone che mi presta il suo piccolo scranno traballante da cui posso quasi spiccare il volo e svettare tra i flash impazziti), riesco a cogliere piccoli quadri di quotidianità molto speciale: la colazione sullo yacht, il mercatino d’antiquariato tra le foto giganti di Ingrid Bergman e Claudia Cardinale, lo shopping un po’ caotico in rue d’Antibes e la serenità della spiaggia che, quando piove, dà al red carpet un fascino da tempesta marina… ll tappeto rosso o tapis rouge che qui culmina nella montée des marches, con le caratteristiche scale che potete vedere in questa bellissima foto che mi ha scattato l’amico fotografo Ernesto.
Ora so che mi mancherà la montée come mi mancherà uscire al mattino e distribuire i miei bonjour. Mi mancheranno i colleghi e tutti coloro che mi hanno sorriso e aiutato al service de presse audio-visuelle, nonostante fossimo in tantissimi; così come è stato quasi surreale seguire la stampa francese che non si è risparmiata nel raccontare ciò che stava accadendo in Italia come un tragico contrappunto. “Liberte, egalitè, actualitè“, recitava il motto del canale France 24 che seguivo in albergo e davvero credo che questa sia stata la linea dl Festival.
Siamo lontani dalla disperata eleganza d’arte e di vita che si respira nella mia Venezia. Qui c’è un’altra storia, altrettanto bella e vigorosa di significato, la favola della Croisette che dall’alto appare come un lungo filo di stelle impiccato alla notte.
Cosa ha a che fare tutto questo con il film In Time e con i workshop della scuola di psicoterapia? Molto, forse tutto. Mentre ero in albergo, alla sera, scaricando le foto da inviare in agenzia, pensavo al valore del tempo, al tempo banalmente inteso come denaro nel linguaggio comune.
Curiosamente, mi trovavo in un posto dove tutto si declina in nome del denaro: la bellezza, il potere, la cinematografia intesa come mercato; sempre arte altissima, certo, ma pur sempre mercato. Il Festival di Cannes è noto anche come marché du film, qui i produttori convergono per trattare e acquistare le pellicole e tutto si svolge nelle hall di alberghi sontuosi, sotto l’egida di un Tempo forse poco proustiano. Infatti, il problema del tempo nella letteratura e nel romanzo si pone come presa di coscienza che la totalità è sempre una totalità creata e in quanto tale implica una dissonanza tra l’ideale e il reale. Sarà solo grazie ai segni dell’arte, che Cannes potrà andare oltre il mero lusso e la banale mercificazione per ritrovare il Tempo, quello vero, quello essenziale che il Cinema distribuisce a tutti i suoi fruitori.
In questa ottica, il tempo perduto non sarà mai tempo ritrovato: nel film In Time questa contrapposizione sarà sanata là dove i protagonisti Sylvia e Will decidono di provare a sovvertire l’ordine costituito e riescono a distribuire del Tempo nel ghetto dei poveri destinati altrimenti a morire.
Così, solo grazie ad una lotta epica per la sopravvivenza, i protagonisti superano il tempo perduto per riacquistare la totalità di un tempo ritrovato. E così anche io, grazie alle esperienze formative che sto vivendo nella Scuola, ai sogni dei workshops cinema e sogni, spero di recuperare il tempo perduto della mia vocazione psicoterapeutica e diventare terapista con lo stile della DREAMS, la cooperativa sociale nata dai diplomati SIPSI con il sogno di rendere sostenibile la psicoterapia anche per le fasce più deboli delle nostre comunità.
Bibliografia
AA.VV., Il Morandini 2022. Dizionario dei Film e delle Serie Televisive, Zanichelli 2021;
Borgna E., Il tempo e la vita, Feltrinelli 2015;
Heidegger M., Il concetto di Tempo, Adelphi 1998;
Fremaux T., Cannes confidential. Il direttore del festival più importante del mondo racconta il dietro le quinte, Donzelli 2018.