(Alex Garland, 2015 UK, 148 min)
Nato nel 1970 a Londra e laureatosi in storia dell’arte all’università di Manchester, Alex Garland, sceneggiatore e regista del thriller psicologico Ex Machina (2015) sul quale sarete invitati a sognare, è figlio di un vignettista politico e di una psicoanalista. Gli altri suoi film da sceneggiatore comprendono 28 Days Later e Sunshine, e come regista Annihilation (2018) e Men (2021). Garland è soprattutto noto per il suo romanzo bestseller The Beach [L’ultima spiaggia], pubblicato nel 1996, tradotto in 25 lingue, e portato sullo schermo in un film interpretato da Leonardo DiCaprio.
Per rispettare il diritto alla sorpresa per quelli fra voi che ancora non hanno visto Ex Machina, mi limiterò a dire che il suo protagonista, il giovane e brillante programmatore elettronico Caleb, viene invitato da Nathan, boss della compagnia internet per la quale Caleb lavora, a trascorrere una settimana nella sua lussuosa villa in montagna; villa che, ben presto, si rivelerà essere anche un sinistro laboratorio – una versione contemporanea o addirittura futurista, impossibile non notarlo, di quello del dottor Frankestein. Caleb è recitato da Domhnall Gleeson (il Bill Weasley dei film di Harry Potter), Nathan dal musicista e attore guatemalteco Oscar Isaac.
Il nostro eroe si ritrova dunque a sua insaputa a far parte di un esperimento per il quale deve relazionarsi con il primo, e certo non ultimo, prodotto di intelligenza artificiale (AI), sotto le spoglie di Ava, un robot umanoide al femminile. Forse un riferimento qui al celebre The Stepford Wives [La donna perfetta], film di una modernità sconvolgente alla sua uscita mezzo secolo orsono, meno nel remake del 2004 con Nicole Kidman?
Le sembianze, i movimenti e la voce di Ava lasciano noi spettatori continuamente in dubbio se siano quelli di un’automa o di una giovane ragazza in carne ed ossa, e questo soprattutto grazie all’interpretazione che ne fa l’ex-ballerina Alicia Vikander, l’attrice svedese che, nello stesso anno in cui uscì Ex Machina, vincerà un Oscar con The Danish Girl.
Scopo dell’esperimento escogitato dal megalomane Nathan – forse il Deus assente dal titolo del film – è di valutare la capacità di una macchina (cioè di un oggetto creato dall’uomo) di esibire un comportamento intelligente equivalente a quello umano, anzi indistinguibile da esso. Si tratta qui di una versione del cosiddetto Test di Turing, originariamente chiamato nel 1950 da Alan Turing ‘Gioco dell’Imitazione’, che consisteva nell’assegnare ad un soggetto (C) il compito di determinare mediante domande quale dei due altri soggetti (A e B) fosse una persona e quale un computer. A tutt’oggi, nonostante gli enormi progressi fatti dagli studi sull’Intelligenza Artificiale, nessun computer è ancora stato in grado di superare il test di Turing.
Nella versione estesa di quel celebre esperimento, sulla quale s’incentra il film di Garland, il ‘comportamento intelligente’ non si limita a risposte corrette e ragionamenti coerenti espressi in un linguaggio senza errori, né in un aspetto fisico e movimenti del corpo quasi indistinguibili da quelli degli esseri umani, ma comprende anche in modo specifico che nella ‘mente’ dell’automa (cioè nel computer che lo fa funzionare) sia presente la coscienza del sé e quella dell’altro. Queste caratteristiche sono considerate appartenere esclusivamente a noi umani e ci distinguerebbero quindi da tutti gli altri animali.
“Comunque, per il momento”, ha affermato Garland in un’intervista, “non esiste alcun computer autocosciente, non esistono computer uguali a noi”. Qualora però tali robot potessero un giorno venire creati nel mondo reale, e non soltanto inventati dalla fantasia di uno scrittore o di un regista, si presenterebbero complessi problemi di ordine morale, in quanto potremmo non essere più noi esseri umani a controllare le nostre creature artificiali, ma queste ultime a controllare noi, con inevitabili conseguenze di enorme portata.
E, viene da domandarci, come possiamo essere sicuri che il comportamento, per quanto sofisticato, di tali automi dotati di consapevolezza non dipenda comunque dalle intenzioni, buone o malvagie, di chi li ha programmati? È giustificabile estendere il significato dell’aggettivo ‘vivente’ per attribuirlo ad un robot? Dovremmo noi umani considerarci altrettanto responsabili nei confronti di un automa autocosciente di quanto lo siamo nei confronti dei nostri simili? E, a monte di tutto questo, come è possibile dimostrare se un essere ha consapevolezza? Insomma, la situazione che ci presenta Ex Machina in un contesto fantascientifico ci costringe a confrontarci nel presente con dilemmi (per il momento, è vero, soltanto ipotetici), tanto affascinanti quanto di difficile o impossibile soluzione.
La scienza ancora non è arrivata a produrre automi simili ad Ava, e forse non ci arriverà mai; ma il fatto stesso che la ricerca ed il progresso tecnologici si muovano in questa direzione è già ritenuto preoccupante da molti filosofi e scienziati sociali. Vale anche la pena ricordarci che spesso gli autori di fantascienza (da Jules Verne e Isaac Asimov in poi) sono stati i primi ad anticipare con la loro fantasia molto di quello che sarebbe in futuro diventata realtà.
Garland, tuttavia, che ha confessato di essere un ottimista nei confronti delle macchine e un pessimista nei confronti degli umani, non vede alcun problema etico nella creazione di esseri dotati di coscienza; lo facciamo di continuo, sostiene un po’ provocatoriamente, quando decidiamo di avere figli…
L’atmosfera di Ex Machina è pervasa da qual senso di Unheimlich (tradotto in italiano come Perturbante) che Freud descrive come qualcosa a cavallo fra il familiare e l’inconsueto, come una “particolare sfumatura dello spaventoso” (p. 83). In quel testo, pubblicato nel 1919, Freud fa speciale riferimento al racconto Der Sandmann [Il mago sabbiolino] di quel “maestro ineguagliato del perturbante” (p. 95) che fu E.T.A. Hoffmann; in quel racconto Nathaniel (lo stesso nome del protagonista del nostro film!) si innamora di una ragazza, Olimpia, “misteriosamente laconica e immobile” che si rivelerà essere un automa… “Una condizione particolarmente favorevole al sorgere di sentimenti perturbanti”, continua Freud, “si verifica quando si desta un’incertezza intellettuale se qualcosa sia o non sia vivente” (p. 94).
Ma torniamo al nostro film. La brillante sceneggiatura, che valse a Garland la nomina per un Oscar, consiste di conversazioni illuminanti fra Nathan e Caleb a proposito del rapporto che quest’ultimo sviluppa progressivamente con la bellissima Ava. Alternandosi a lunghe sequenze con suoni ma senza parole, questi dialoghi sono costellati di considerazioni filosofico-psicologiche su importanti tematiche quali il linguaggio, la sessualità e la creatività artistica; esse danno al film uno spessore culturale che lo distingue da altri prodotti più banali della cinematografia fantascientifica.
Sotto questo aspetto, Ex Machina può essere paragonato ad un’altra pellicola sul rapporto di un uomo con un’Intelligenza Artificiale al femminile, che vorrei caldamente consigliarvi di vedere. Mi riferisco qui a Lei, il film diretto da Spike Jonze nel 2013, anch’esso come Ex Machina ambientato in un futuro forse non lontano da oggi, che presenta con notevole sensibilità temi analoghi a quelli che saranno affrontati due anni dopo dal film di Garland; nel caso di Lei l’attrazione che un uomo (Joaquin Phoenix) prova per una donna dalla voce seducente (Scarlett Johansson) esistente soltanto nell’universo virtuale.
Ingegnoso nello sviluppo della trama con un finale a sorpresa, e dotato di una colonna sonora suggestiva e di un’elegantissima scenografia che procurò al film un Oscar per gli straordinari Effetti Visivi, Ex Machina è, nel suo genere, un capolovoro da non ignorare e che, non ne dubito, vi farà a lungo riflettere.
E, poi… sognare.
Riferimenti bibliografici
FREUD, S. [1919]. Il perturbante. FREUD OPERE, Vol. 9, 1917-1923; pp. 77-118. Torino: Boringhieri, 1977.