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Momenti del Workshop Cinema e Sogni sul film “La forza della mente” (Wit, 2001)

Morte, non esser fiera,

pur se taluni ti abbiano chiamata terribile e possente,

perché tu non lo sei,

che quei che tu credi di travolgere,

non muoiono, povera morte, né tu puoi uccider me.

[…]

Tu schiava del fato, del caso, di re e di disperati

tu che ti nutri di guerre, veleni e malattie,

oppio e incantesimi ci sanno addormentare ugualmente 

e meglio di ogni tuo fendente; perché dunque insuperbisci? 

trascorso un breve sonno, veglieremo in eterno

e morte più non sarà, morte tu morrai.

 

John Donne, testo tratto dal film “La forza della mente”

 

Il film scelto per il workshop Cinema e Sogni delle Risonanze della Festa del Cinema di Roma 2023 (Wit, Mike Nichols, 2001) è tratto dal dramma di Margaret Edson, premio Pulitzer per il teatro nel 1999. Riassumiamo brevemente la trama prima di presentare alcuni momenti significativi dell’evento formativo: l’introduzione da parte del prof. Nesci (la sera in cui è stato visto il film) ed i momenti più significativi del Guided Social Dreaming (la mattina successiva).

 

La trama del film

 

Vivian Bearing è un’insegnante di letteratura inglese, studiosa di poesia del Seicento e in particolare della poesia metafisica di John Donne. La sua vita cambia quando le viene diagnosticato un carcinoma ovarico allo stadio avanzato. Vivian viene quindi sottoposta alle cure del Dr. Harvey Kelekian, un oncologo che, dopo averle spiegato in maniera fredda e distaccata la sua situazione, le propone di sottoporsi ad una chemioterapia ancora in fase sperimentale, che avrà effetti secondari molto seri, ma che risulta essere il solo trattamento possibile.

Inizia quindi il racconto degli ultimi mesi di vita della protagonista attraverso le parole di Vivian stessa, che commenta quanto le succede alternando lunghi monologhi a momenti in cui parla direttamente alla telecamera, rivolgendosi allo spettatore, in maniera lucida e talvolta ironica.

La narrazione ripercorre anche momenti significativi della storia personale della protagonista, flashback di episodi che ora Vivian riesce a vedere sotto una veste completamente diversa.

Il racconto mette subito in evidenza, accanto all’impotenza e alla vulnerabilità di chi si scontra con la malattia, la scarsa umanità dei ricercatori medici che limitano la cura ai soli aspetti tecnici e formali tralasciando ogni tipo di empatia o capacità di comprendere il difficile stato emotivo dei pazienti. Vivian non troverà infatti alcun tipo di calore umano né da parte del suo medico curante, Dr. Kelekian, né da parte del Dr. Jason Posner, suo ex studente, restituendo una rappresentazione molto dura della realtà della ricerca medica, che non contempla la necessità o l’utilità di coltivare contatti umani.

Solo un’infermiera, Susie, sembra essere interessata ai bisogni e alle sensazioni di Vivian, relazionandosi con lei in maniera umana ed empatica, accogliendo le sue paure e condividendo momenti emotivamente intensi.

Vivian cerca di reagire alle difficoltà di quella situazione dolorosa con la forza della sua mente. Tuttavia, con il procedere del film, comprende sempre di più l’importanza di fare meno affidamento sull’intelligenza, riconoscendo il ruolo importante delle proprie debolezze e vulnerabilità, la forza del contatto umano e delle emozioni.

L’intero racconto è caratterizzato dalla grande solitudine di Vivian, che non riceverà alcun tipo di visita da parte di amici o parenti ad eccezione, negli ultimi minuti del film, di quella del suo mentore, Professoressa Ashford, con la quale riuscirà finalmente a mettere a nudo le proprie debolezze. Ormai stremata e disperata, quando la Ashford si offre di recitare per lei uno dei sonetti di Donne, Vivian rifiuta l’offerta, accettando invece la lettura di un libro per bambini. E in una scena successiva cambia la sua decisione riguardo all’essere o non essere rianimata se il suo cuore si arresterà. Vivian rinuncia ad essere rianimata e quindi a restare a qualunque costo, fino all’ultimo, nel protocollo di ricerca.

Negli ultimi minuti del film, Jason si accorge che Vivian non risponde più e attiva il codice di emergenza. Ma subito dopo l’arrivo degli operatori sanitari Susie impedisce la rianimazione, facendo rispettare la volontà di Vivian.

Sarà proprio Susie a prendersi cura del corpo ormai straziato di Vivian.

Nonostante il film si concluda con la morte della protagonista, rappresenta comunque una storia di trasformazione e di riparazione, di scoperta della propria vulnerabilità, di riconoscimento e accettazione delle proprie debolezze e dell’importanza dei sentimenti.

 

 

Introduzione al Workshop Cinema e Sogni

 

Prof. Nesci: Dico due parole rapidissime su cos’è il workshop Cinema e Sogni. Praticamente l’idea è quella, invece di discutere un film, di sognarlo… di sognarlo e poi, dopo, di fare un social dreaming modificato, che io ho chiamato “guided social dreaming”, un social dreaming guidato in cui si cerca di recuperare l’anima segreta del film e la risonanza del film in noi che lo abbiamo visto. Quindi la sera si guarda il film, si va a dormire, la mattina dopo si condividono i sogni della notte. La conduzione del workshop è interdisciplinare quindi voi vedrete che ci saremo noi, due psicoanalisti dell’IPA, di cui uno esperto di cinema in modo importante, Alberto Angelini, e un “non psicoanalista”, in questo caso un filosofo, Paolo Vinci, anche antropologo, che ci aiuta quindi ad avere uno sguardo più integrato sulla pellicola, sul linguaggio cinematografico e anche sulla psicoanalisi e sul nostro modo di rapportarci ai sogni.

Io penso che a questo punto la cosa più saggia sia quella, per tutti noi, di vedere o rivedere il film. Io devo dire l’ho visto tante volte perché ogni anno l’ho fatto vedere al terzo anno nel corso di laurea per infermiere, all’Università Cattolica, a Roma, nella facoltà di medicina. Ogni anno i ragazzi hanno sognato e si sono commossi, evidentemente identificandosi con l’infermiera che nel film ha un ruolo fondamentale perché è come la portatrice della seconda anima della medicina. Franco Fornari diceva che c’è un’anima fallocentrica della medicina, impersonata dalla chirurgia, che penetra, che taglia, che interviene attivamente, e c’è un’anima onfalocentrica, placentare, materna, del “prendersi cura di…” che abbraccia il paziente; e questa spesso è impersonata dalle figure infermieristiche che si occupano proprio delle cure primarie nella relazione d’aiuto. E la cosa bellissima è stata ogni anno raccogliere, ascoltare, riflettere sui loro sogni stimolati dalla visione del film. Non solo vedere un film è importante, perché le immagini e la musica parlano molto più di un testo scritto, ma sognare è importante perché il sogno ci parla in un linguaggio universale ancor di più di un testo scritto e i sogni dei miei allievi infermieri mi hanno sempre accompagnato ogni volta che ho fatto vedere a un altro pubblico questo stesso film. Sono quindi molto curioso di vedere cosa sognerà stanotte un pubblico prevalentemente di psicologi perché FCP è un portale per la psicologia e penso sia il tempo giusto perché anche gli psicologi sognino questo film. Voi dovete sapere che in Italia ci sono 3.250.000 malati di cancro, 3.250.000 malati di cancro oggi; se pensiamo ai familiari che loro hanno, vuol dire che almeno 10 milioni di italiani sono interessati dalla malattia oncologica e dovete sapere che gli psico-oncologi in Italia sono poche centinaia. Io spero che questo film aiuti gli psicologi a capire quanto è importante la psicologia per accompagnare questi milioni di persone che soffrono e che hanno bisogno di essere aiutati a compiere quel passaggio trasformativo che anche nella morte si può compiere e che ridà la speranza e la voglia di vivere. Mi fermo qui, vi auguro buona visione del film e ci vediamo domani con i nostri sogni.

 

 

Trascrizione del Social Dreaming Guidato

 

Partecipante n. 1: Ieri sera ho partecipato al webinar e a seguire ho visto il film per la prima volta. Temevo di non ricordare il sogno questa notte e allora mi sono detto “se non dovessi avere un sogno racconterò quello di mia madre”, un sogno che mia madre ha fatto una settimana prima che morisse mia sorella… il 16 giugno per un tumore… un glioblastoma di quarto… Invece poi ho fatto alcuni sogni che ho dimenticato, ero rammaricato, mi sembravano calzanti e poi invece uno di questi lo ricordo. Mi accompagnavano al lavoro, vedo la mia borsa sul marciapiede, sono preoccupato, la mia borsa lì potrebbero rubarla. Giungo al lavoro, non posso accedere perché devo andare a recuperare la borsa. Non la vedo, poi la vedo, la prendo, la indosso, ha una bretella. Giungo al lavoro, giungo dinnanzi al portone, salgo le scale e io non riesco a trovare il mio posto di lavoro e chiedo aiuto alle persone che incontro, sono indispettito, nessuno mi sa indicare il luogo dove io lavoro e quindi salgo e scendo le scale… È questo è il mio sogno.

 

Partecipante n. 2: Buongiorno a tutti. Stranamente il mio sogno si collega molto al sogno di chi mi ha preceduta in quanto anch’io ho sognato di tornare al lavoro. Faccio una piccola premessa poiché io… lavoro in caserma, sono un militare e al momento sto avendo problemi di salute, ho problemi di deambulazione, devo fare un intervento alla schiena. Il sogno è questo: io tornavo al lavoro, tutto era rinnovato, quindi tutto nuovissimo; invece, dove lavoro io è tutto… però io non ero rinnovata, avevo comunque ancora questi problemi di deambulazione. Al posto del mio ufficio c’erano delle tv con poltrone, queste poltrone costosissime nere di pelle, il mio ufficio era diventato enorme, mi affiancava un maresciallo che non sapeva che fino al mese, diciamo, prima io avevo lavorato da sola e gestito da sola l’ufficio per ben tre anni e lui continuava diciamo a cercare di elogiarmi, però iniziava le frasi e diceva “ah mi hanno detto che tu hai…”, “mi hanno detto che sei stata…” però non riusciva comunque a dire delle parole positive, cioè non riusciva mai a finire la frase e io continuavo a chiedere “quindi cosa hanno detto?” e lui poi cambiava discorso, era confuso, guardava gli altri. Lui diceva che quell’ufficio l’avremmo utilizzato come sala ricreativa ma io so che comunque, in ambito militare, visto che sono 23 anni che sono militare, tutte queste cose ricreative, benessere del personale, hanno sempre il rovescio della medaglia, perché poi se ti trovano nell’area ricreativa sostanzialmente vieni punito. Quindi io dicevo “ma perché hanno speso tutti questi soldi” chiedevo, no? quindi ci siamo messi su questo divano e alla fine lui mi guarda e dice “questa è la tv, perché non entri nel tuo sistema, nel tuo lavoro?” e io dicevo “ma questa è una tv, non è il mio computer, non è… come faccio?” e mi sono resa conto a quel punto che lui mi stava prendendo in giro, era come se io… non mi riuscivo ad orientare e allo stesso tempo mi sforzavo di utilizzare questa tv come se fosse un computer, e poi mi sono resa conto che lui continuava a prendermi… a prendermi in giro e allora mi sono chiesta “forse era geloso perché io prima avevo gestito tutto da sola?” e poi mi sono svegliata. Bene, grazie, grazie per la condivisione.

 

Partecipante n. 3: Buongiorno a tutti. Allora io più che il sogno vorrei assolutamente chiedervi se posso condividere questo che è molto forte per me; quindi, anche se ci tengo veramente a ringraziarvi e sono riuscita a trovare e trasformare gli incubi in bello, resiliente, resistente e buono, sappiate che un po’ vi ho maledetto; ma ripeto, vi voglio bene, non è nulla un caso. E se ho scelto, perché la scelta è stata mia, nessuno mi ha puntato la pistola per obbligarmi a cliccare il tasto “accetto di iscrivermi al webinar” è perché dovevo farlo in questo modo, scavare e far emergere per elaborare. Mia madre ha fatto il percorso della protagonista ma ce l’ha fatta e stamattina, dopo gli incubi che ho fatto, perché ho fatto gli incubi, erano incubi in cui ero sola, correvo e mi sentivo freddo anche se avevo tirato fuori il piumone ieri sera ed ero scaldata, calda, io avevo freddo, ero sola, io stamattina la prima cosa che ho fatto è stata chiamare mia mamma e sono andata a trovarla prima di… perché ho appuntato questi pensieri, li ho scritti e vorrei quindi condividere anche con voi. L’ho abbracciata, ho condiviso il sogno, cioè il film, e lei mi ha detto che in realtà lei ha trovato degli infermieri umani, un dottore umano, m’ha detto che la forza l’ha trovata per me e per mio fratello. Sappiate che è stato bello questo, per questo voglio ringraziarvi, ringrazio anche la mia scelta di iscrivermi. Dal 2010, perché nel 2010 che mia madre ha fatto la chemioterapia per un tumore al seno, i rapporti con mia madre si sono raffreddati perché io sentivo e pativo troppo, sono finita anche in burnout a livello… a livello lavorativo. Mi sono laureata nel 2009, subito dopo a mia madre le hanno diagnosticato il tumore, e io adesso sono maestra a scuola, di sostegno, e quindi il mio burnout l’ho trasformato in “rimaniamo un attimo più a galla, in leggerezza” per riuscire ad aiutare i bimbi e loro mi stanno dando tantissimo. Però questo… questo film di ieri mi ha fatto ripiombare là, e io pativo troppo e mi stavo annientando, non sopportavo la realtà dei fatti e non riuscivo neanche a parlare di ciò con mia madre, è quello che le ho detto stamattina piangendo, e ce l’ha fatta per me e per mio fratello, anche per i parenti, per la famiglia tutta, quindi abbiamo vinto tutti. È questo che volevo condividere con voi, grazie.

 

Partecipante n. 4: Buongiorno…. Allora, io sono al terzo workshop Cinema e Sogni e volevo cominciare col dire che è stato un lento ingresso in questo… in questa tipologia di lavoro, nel senso che la prima esperienza mi ha lasciato completamente esterna a questa esperienza, non sono riuscita a entrarci e a far sogni, nella seconda mi erano rimasti dei frammenti, e questa volta ancora di più, nel senso sono comunque un paio di sogni frammentati ma più ricchi di quelli della volta scorsa, quindi sono molto contenta di questa… di questa, diciamo, piccola crescita in questo senso. Ehm… allora il primo sogno che ricordo è più un frammento e c’era una persona che stava in cima a una sorta di libreria, aveva degli scaffali, e io stavo cercando in qualche modo di o farla scendere o farmi passare degli oggetti, vengo sostituita in questa funzione dal mio… dal portiere del mio palazzo, non so per quale ragione questa, questa figura che però, nel farsi passare degli oggetti, fa un atto assolutamente inaspettato cioè nel momento in cui questa persona gli passa un coltello, questo portiere lo punta sulla fronte della persona che stava là in alto e lo affonda, cioè non in modo repentino, anche piuttosto lento, e la cosa strana è stato che è come se questo gesto fosse stato prodotto da un, da un contesto di confusione… cioè che questa, questo portiere non sapeva bene che cosa doveva fare e si ritrova sorpreso a fare quest’atto e la stessa persona che lo subisce aveva un’espressione non dolorosa, piuttosto dolorante quanto… sorpresa. E quindi diciamo che questo primo pezzo… si questo primo sogno si conclude più o meno così e se ne apre un secondo in cui io sto uscendo da questo ambiente, probabilmente dove si era svolto il primo sogno, e porto con me una scatola di cioccolatini che era stata a me destinata. In realtà ce n’erano tre e io dico “no vabbè, ne lascio un paio e me ne porto solo una”. Esco e incontro una vecchia compagna di scuola, forse delle scuole medie, che era… cioè che aveva al guinzaglio un cagnolino e quindi mi chino ad accarezzare questo cagnolino e facendolo mi rendo conto che non era il suo cane, ma era un nuovo cane, cioè…e quindi sospetto che quello precedente fosse morto… Infatti la guardo, un po’ interrogativa, e non capisco insomma, non le dico comunque nulla e le offro un cioccolatino. Lei lo accetta ma prima di mangiarlo questo cioccolatino diventa una tavoletta e lei scarta la parte di cioccolato superficiale mangiando solo l’interno, che era invece bianco, probabilmente di latte o qualcosa del genere, perché magari il cioccolato le dava fastidio, le dava noia, non poteva mangiarlo… e all’esterno di questa… di questo ambiente eravamo in strada e vediamo passare un tram che lei doveva prendere e lei dice “no no no vabbè prenderò il prossimo”. Poi arriva il successivo, così l’accompagno portando io al guinzaglio il cagnolino; saliamo entrambe, sul tram le passo il guinzaglio e ci salutiamo così, e io riscendo. Così si conclude il secondo sogno e volevo aggiungere che ieri sera, alla fine della proiezione, mi dicevo “accidenti… cioè sì… è un film intenso per cui mi sono commossa, ma è passato molto rapidamente e dicevo “mah, strana questa cosa” e mi sono resa conto solo alla fine del film di essermi fatta uno sconto, cioè in pratica una mezz’ora iniziale del film io l’ho bypassata, cioè non so come è successo… ed era probabilmente la parte in cui alla paziente veniva diagnosticato il tumore, che per me forse era la parte più stressante, ancor più stressante della parte finale in cui lei effettivamente muore e quindi vabbè, resami conto di questa cosa, ho detto “eh vabbè, accetto questo sconto e lascio andare questa prima parte…” Grazie.

 

Partecipante n. 5: Faccio una premessa velocissima e scusate se mi commuovo. Allora io il 29 di settembre ho concluso il mio percorso di chemio, per un tumore al seno. E… nulla di paragonabile a quello della, della protagonista, ovviamente… e quindi diciamo che il film è stato abbastanza intenso, ho riconosciuto delle parti, ho riconosciuto gli infermieri, ho riconosciuto i medici. Io come la protagonista, per scelta, per… per… per forma mentis sono una che vuole sapere; quindi, i termini medici me li sono andati tutti a trovare e quindi ho capito esattamente di che cosa si trattava e quali erano i rischi anche se, ripeto, non paragonabili assolutamente. Quindi ho sicuramente… ho sognato, ho sicuramente messo un velo su questo sogno, ma ricordo due sprazzi specifici. Uno in cui mio padre, con cui io non ho… morto a gennaio, con cui io non ho mai avuto un grande rapporto affettivo, che mi…. mi avrebbe accompagnato, a gennaio, alle ricerche che devo fare ovviamente perché sono nel… nella fase di follow up adesso, quindi la tac e tutto quello che riguarda la fase di follow up. E un altro sprazzo in cui parlo amorevolmente con Michela Murgia, che io ovviamente non conosco, del nostro cancro e di come questo cambi la vita. Scusate [si commuove]. È questo… grazie a tutti.

 

Prof. Nesci: Siamo noi che la ringraziamo.

 

Partecipante n. 6: Buongiorno a tutti. Allora anzitutto vi volevo ringraziare per… per questo corso che in realtà mi aveva… Faccio una piccola premessa, mi aveva colpito da subito leggendolo, per cui molto entusiasta l’ho detto a due colleghi, perché c’è una mia amica che fa anche teatro e un mio amico che lavora con i sogni, quindi io ho spinto loro a iscriversi eccetera eccetera, nel frattempo a me è successa una cosa piuttosto impegnativa che sto vivendo proprio in questi giorni, e che purtroppo a mio papà hanno diagnosticato un tumore molto grave a luglio con cui stiamo combattendo per un primo intervento sbagliato e dei medici molto simili alla… come dire… all’uso freddo… come dire… del, del modo di dare le notizie, di trattare il tumore; e io ho visto il film dopo 11 ore di sala operatoria di mio padre e una decisione sofferta in questi giorni se lasciarlo andare al tumore serenamente o combattere… e quindi papà venerdì ha fatto l’intervento per mettere… ha tolto vescica e tutto, per mettere le stomie… un intervento molto difficile perché al primo intervento a luglio ha avuto un’embolia polmonare, quindi non sapevamo neanche se… quindi ci siamo proprio trovati con lui nella scelta tra “vivo gli ultimi mesi… come dire… con quello che arriva ecco, libero…” oppure “si fa un intervento da cui non sopravvivo e da cui vivo con una vita completamente cambiata…” E quindi non nego che in realtà a me era dispiaciuto non partecipare, non avevo letto il contenuto del film, mi aveva colpito tantissimo il… e quindi avevo spinto i miei amici che alla fine sembravano loro farlo e io no. Alla fine, loro non hanno partecipato, perché la mia amica ieri ha avuto uno spettacolo teatrale, un mio amico si è specializzato ieri e… io ieri ero veramente morta per cui ho detto “no, io oggi non ce la posso fare”, e… e poi niente, ho detto “no, lo devo… lo devo vedere, lo devo vedere!” Quando ho iniziato a sentire ieri la vostra introduzione ero addirittura in macchina che tornavo dall’ospedale… io ho capito il contenuto del film e ho detto “mmm… porca miseria!” Cioè nel senso che proprio ho detto “no vabbè io non… non ce la faccio…” e ho visto il film perché ora non ricordo bene chi di voi ha detto “però non è un film che parla del tumore in maniera così pesante, è affrontabile, poco…” ed è vero; quindi, vi ringrazio tantissimo anche perché nella mia vita… non su di me, ma io ho una storia importante col tumore. Ho mamma che è stata operata tre volte di tumore al seno, il mio ex fidanzato che… ha avuto una leucemia importantissima quando eravamo ragazzi, che io ho seguito in pieno, e in una delle mie varie promozioni in ospedale hanno deciso di farmi fare supervisione all’hospice, ai colleghi dell’hospice… e sinceramente anni di neurologia, anni di psichiatria, sono stata anche menata all’inizio della carriera… ma per me l’hospice è stato veramente angosciante, anche se dovevo seguire soltanto i colleghi, partecipare alle riunioni ma… per me insomma… Quindi ieri ho visto il film… c’erano una serie di cose nonostante io avessi deciso di vederlo: non mi si connetteva il computer, non c’era la connessione, ho cercato l’hot-spot, c’era… qualunque cosa, a un certo punto ho acceso… sono riuscita a vedere il film, a un certo punto mi stavo anche addormentando e poi proprio ho detto “no, io voglio arrivare alla fine”. Premesso che in questo periodo di caos di papà sono venute fuori le tensioni familiari con mia sorella, diciamo che sono pregresse; quindi, non c’è uno stesso approccio alla cosa diciamo. Noi viviamo a Roma, siamo dovute tornare in casa, quindi ho vissuto molto questa scocciatura di essere bambina in casa con papà e mamma pur essendo donna fatta… quindi io ho visto il film ed è stato bellissimo, liberatorio, vi sembrerà assurdo, non avrei mai pensato di usare questa parola, ma è stato proprio… mi ha dato una leggerezza rispetto agli incastri col papà, col coniglio, con… e con la poesia che mi sono andata a cercare, penso di saperla a memoria… quindi ho avuto un pianto liberatorio ieri e proprio continuavo a dire “e tu, morte, virgola, non sarai…” quindi sono andata a dormire estremamente serena come non facevo da giorni, quindi grazie… e pensavo di non sognare, ho sognato, purtroppo non lo ricordo benissimo ma ricordo che ho detto, in senso buono, “ve possino…” perché anche il sogno era perfettamente incastrato. Sognavo come una sorta di… dovevo correre a iscrivermi credo a un corso e… io sono secondogenita, mia sorella prima, non lo so se è questo, non so se perché… è un reparto molto rigido, ci tengono fuori per il covid ancora, quindi io non posso vedere mio padre in tutto questo, non abbiamo potuto abbracciarlo, non abbiamo potuto salutarlo, tutto per telefono in questa decisione così forte… e quindi c’era tutta un’ansia di correre, vai all’ascensore, arrivi tardi, arrivi tardi… quindi io ricordo solo che correvo per andarmi a iscrivere a questo corso di lavoro, quasi un po’ in colpa perché in questo periodo sto provando a continuare a lavorare perché voglio rimanere centrata su ciò che mi fa sentire funzionale… ad alcuni pazienti ho anche fatto capire che è un mio momento personale… quindi anche quello che mi hanno restituito i pazienti, chi si è arrabbiato, chi è rimasto, chi… insomma mi è servito molto… e quindi io correvo, dicevo “no no no, io… questa cosa è importante per me…” e correvo iscrivermi al corso che non so se era il vostro, però era una cosa che all’ultimo io mi autorizzavo a fare anche se papà stava male… quindi sono corsa mi sono iscritta al corso e anche se non c’era nessuno ho capito che non ero riuscita ad arrivare prima e rimanevo sospesa se riuscivo a iscrivermi al corso o meno. Ho detto “no no no, non lo scrivo, non lo scrivo, me lo ricordo, me lo ricordo”, mi sono riaddormentata, mi sono risvegliata ma credevo di essermi svegliata a scrivere il sogno; invece, ho sognato di scrivere il sogno e questa cosa ho detto “ah ce l’ho fatta, sono a posto, posso dormire e l’ho scritto così non te lo scordi…” invece stamattina io non l’avevo scritto il sogno. Quindi non ricordo il sogno precisamente, sono rimasta dispiaciutissima perché l’avevo sentito un incastro preciso, un sogno veloce ma simbolico, e quindi purtroppo… però mi ero detta “l’hai scritto, tutto a posto” e invece stamattina non era a posto perché non l’ho scritto. Però insomma sento che mi ha… mi ha fatto bene, che è stato… ecco… la mia testa ha elaborato delle cose che ancora non… non so, che saranno al loro posto evidentemente ma che forse non devono essere immediatamente così perfette, non… non lo so, però ricordo che mi sono iscritta e il resto l’ho lasciato andare così. So che stamattina ero stordita, cioè ho fatto il caffè e usciva chiaro ed era senza cialda, non avevo messo la cialda, pensavo di aver acceso il latte e non l’avevo acceso, stamattina ero proprio così, anche un po’ sconnessa, piacevolmente sconnessa, e quindi volevo dirvi davvero grazie perché è la prima volta che ho… ho accolto questa cosa e l’ho vista con… ce l’ho fatta a starci insomma… ci sono sempre dovuta stare per forza, questa volta ho scelto di stare nel tema e ha fatto una grande differenza, quindi grazie per l’opportunità, davvero.

 

Prof. Nesci: Io penso che tutti noi la ringraziamo per questo contributo. Mi permetto di dire che finora tutti i sogni e tutti i contributi sono stati veramente un regalo, un regalo per tutti, per tutti noi, per cui anche a nome di Paolo, di Alberto e di Marco vi ringraziamo per quello che state condividendo con noi.

 

Partecipante n. 6: Grazie a voi. Se posso aggiungere solo una cosa, io credo che la cosa che mi abbia liberata di più è stata sia la poesia, ma sicuramente in questo momento per me, con papà, tutto quel discorso del coniglietto chiaramente… perché in questo momento ci sono state delle tensioni a casa, e io ho ripreso la mia terapia proprio dal discorso di salutare i genitori finché sono vivi, no? per chi può… E mi ha connesso, da qualche parte è andato, è la cosa che sembra di passaggio e non lo è, e quindi… me l’avete fatto notare voi ieri, ho ritrovato tutta la vostra presentazione… e quindi grazie anche agli altri per la condivisione, insomma mi sono sentita meno sola a non ricordare il sogno, quindi…

 

Partecipante n. 7: Nel film… colpivano molte cose ovviamente, colpiva tutto il progresso della malattia e soprattutto la metamorfosi della protagonista. Il punto… diciamo il punto è forse un atteggiamento prima molto disponibile da parte dei medici e poi, diciamo, la tendenza a usare la persona come l’organo, no? come la patologia: non c’è più la persona ma c’è solo la patologia. Quindi questo, diciamo… poi la cosa che mi ha colpito profondamente, quindi diciamo questo atteggiamento dei medici, diciamo… a mio avviso nel film diciamo è stato un po’ forzoso diciamo, un po’ esagerato perché nella realtà non è proprio proprio così, l’hanno un po’ radicalizzato diciamo… però allora ci sono due fatti, alcuni fatti. Il dimagramento della protagonista, la sua metamorfosi, mi ha colpito molto perché l’ho vissuto in prima persona. Purtroppo le mie amiche, oltre che pazienti in tempo di AIDS, che purtroppo ho seguito anche fino alla fine, altri pazienti… che si sono ammalati di tumore, con familiarità però, e quindi questa cosa diciamo nel tempo, nei decenni ecco, ha lasciato una traccia che ho rivisto nel volto della protagonista di ieri. E una mia amica si è ammalata e è morta di tumore, io purtroppo mi sono trovata lì alla fine oltre che nel percorso, ad aiutarla a mangiare con le chemio, a essere sempre costantemente insieme, una persona poi divertentissima veramente, simpaticissima, tanti anni fa è dimagrita così, anche di più perché già era magra. Poi un’altra amica adesso, che sono andata a vedere che è magrissima, non era tanto magra ma sta dimagrendo, anche lei sotto chemio, anche lei poi fra un intervento e l’altro… morfina, cose varie e così… allora stamattina cioè ieri prima di addormentarmi, mi è venuta un’immagine che secondo me c’entra. Dunque, avete presente tutti le orchidee Phalaenopsis, io ne ho una qui e ci tengo molto, mi sono seguita sui siti anche come aiutarle a crescere al meglio, allora nei siti cosa fanno, tirano fuori questa orchidea dalla pacciamatura diciamo, tirano fuori la radice, proprio solo il fusticino di questa orchidea e l’immagine che ho avuto ieri prima di addormentarmi è stata esattamente questa… o nel sonno non mi ricordo, stavo dormendo, comunque stamattina mi sono ricordata questa immagine di questa radice nuda quindi… però perché? per ripiantarla in un terreno, in un vaso diverso, più appropriato e aiutarla a sopravvivere. E quindi, tra l’altro, questa mia amica attualmente malata è malata di tumore al pancreas, purtroppo un po’ lei, un po’ per errori l’hanno diagnosticato… avevano sbagliato diagnosi, l’avevano diagnosticato molto tempo dopo, però sta combattendo perché purtroppo i tumori dell’apparato digerente, soprattutto delle ghiandole endocrine, sono estremamente rapidi purtroppo… e invece lei sta combattendo bene, dotata di armi poi perché lei sapeva di avere una familiarità e si è dedicata nella vita proprio alla ricerca di queste cellule, su queste cellule, ha fatto tante pubblicazioni, insomma è in gamba, però… e sta andando bene. Certo, ho rivisto il vomito della protagonista, la fase finale diciamo, tutta la fase dopo che perde i capelli e però mi è venuta questa immagine che è un’immagine di un fusto di orchidea nudo però per farlo vivere. Cosa che mi ha sempre lasciato un po’ di dubbi quando vedevo i video su come si… come si trattano le orchidee. Poi stamattina appena sveglia mi viene un’altra immagine di me con un décolleté verde, che era un vestito che avevo da adolescente con cui andavo al centro, un vestito verde bellissimo di questi indiani di una volta, e andavo al centro con le mie amiche a… così… mi sentivo molto bella in questo vestito. Non so perché ho avuto questa immagine, però mi vengono immagini di vita, di fiori quando… non so, ho associato queste due immagini. Buona giornata e grazie.

 

Partecipante n. 8: Mi sentite? Allora buongiorno. Io ho visionato il film subito dopo il webinar. E il mio sogno è suddiviso in tre scene. La prima mi trovo in questa giungla, immersa in una vegetazione molto fitta che mi affascina, ma al contempo mi suscita un senso di smarrimento. Inizio a camminare e osservo delle scimmiette saltare da un albero all’altro quasi a volermi indicare una strada; le seguo, mi sento più sicura, più serena nonostante la penombra che accompagna tutto il mio cammino. La seconda scena è che a un certo punto non vedo più queste scimmiette e mi trovo in un bosco. Riconosco il bosco perché ha una vegetazione differente, ci sono molti alberi e un tappeto di foglie ingiallite. Devo stare attenta perché rischio di scivolare, il terreno è bagnato. Mi trovo dinanzi a due sentieri e mi chiedo “quale seguire?”. Scelgo il sentiero alla mia destra, lo percorro. Alla fine del sentiero mi viene incontro una donna imponente, ha un bell’aspetto, uno sguardo vivace e un bel sorriso, e mi chiede “ti ricordi di me?” La guardo per diversi minuti e le dico che mi sembrava di conoscerla ma che non ne ero sicura. E lei aggiunge “sì che mi conosci, sono Giada”. A quel punto mi ricordo di una paziente che ho conosciuto 15 anni fa in hospice, perché per circa 15 anni ho diretto nella città dove prima risiedevo un servizio… in un hospice, e quindi ho associato, appunto, subito quando lei mi ha detto “Giada”, questo nome a una paziente che mi è rimasta nel cuore, una paziente che nutriva un forte senso di ira e non accettava di morire, soprattutto in prossimità di un evento per lei molto importante che riguardava le nozze della figlia. La figlia di questa paziente aveva proprio il mio nome e il caso voleva che la figlia della… niente si sposava nel giorno in cui io andavo in tribunale per separarmi. Mi colpisce la sua persona, tanto diversa da come la ricordavo. Adesso la osservo con una luce diversa. È serena, mi dice che sta bene e che le piace fare lunghe passeggiate nel bosco, respirare aria pura e godere del sole. Ha con sé della cioccolata, me la offre e io lo accetto sorridendole. E poi mi sveglio con un senso di tranquillità e di benessere. Il particolare che mi ha colpito è che anche una collega precedentemente ha parlato della cioccolata. Questo senso di tranquillità e benessere con cui io mi sono risvegliata non lo provavo da tantissimo tempo e non lo provo nella realtà, quindi nonostante la trama del film abbastanza importante, per me si è rivelato poi una fonte di serenità ecco… Grazie.

 

Partecipante n. 9: vado diretta al sogno che è fatto da alcune scene. La prima scena: devo andare ad una visita in ospedale, credo ad un controllo oncologico. Il mio compagno mi sta accompagnando. Siamo entrambi disorganizzati, smarriti: parcheggiamo troppo lontano, perdiamo minuti preziosi, rischiando di far tardi per scegliere un parcheggio piuttosto che un altro. Mentre percorriamo la hall dell’ospedale mi accorgo di aver lasciato in macchina le mie cartelline con la documentazione medica. Gli dico di andare a prenderle; lui pare un po’ seccato ma non vuole che vada io; si avvia per recuperare le cartelline e non ritorna più. Io non trovo la stanza per effettuare la visita, mi danno un’indicazione errata… mi perdo nell’ascoltare conversazioni altrui e nello sbirciare pazienti nei letti, gettando sguardi nelle camere. Non mi interessa tanto farmi visitare, ho più paura all’idea di essere sgridata perché non mi sono presentata all’appuntamento. Cambio di scena: sono sempre nello stesso ospedale con una mia cara amica dell’università. Abbiamo una stanza per dormire come se fosse un albergo. Io sono stanca ma accetto l’invito della mia amica ad uscire, perché nel paese accanto fanno un’esibizione di fuochi artificiali. Lei mi fa capire che sarà bellissimo, che ci tiene e che è un’occasione unica. Mi sento rassegnata e apatica, mi faccio trascinare passivamente. Altra scena: io vedo i miei amici del liceo, tutti in riva al mare, di notte, a inizio autunno. Per una sfida, due di loro si tuffano nelle acque scure e fredde. Tutti festeggiano, ridono e fanno confusione; io assisto alla scena. Poi mi ritrovo io stessa in quelle acque scure e cerco di scacciare una sanguisuga che continua ad attaccarsi alla mia pelle. Sono disgustata, nervosa e in tensione, non vedo l’ora di tornare a riva. Quella sanguisuga mi succhia il sangue e forse anche la vita… Scena finale: sto parlando col professor Nesci e gli dico “ma, prof., non è che io abbia fatto dei sogni particolari. Forse è perché nonostante tutto ho ancora difficoltà a stare a contatto con questa tematica?”. E lui mi punta il dito ma sorridendo, con un fare arguto, gentile, mi dice “no dottoressa, è tutto il contrario, è proprio perché hai capito che non hai più bisogno di sognarlo…” Grazie.

 

Partecipante n. 10: Allora, io parto con un’autodenuncia, nel senso che io non sono psicologa, sono una giornalista, mi occupo di spettacolo e sono una antropologa in ritardo, perché ho preso una seconda laurea in antropologia e la prima era in critica teatrale. Ho seguito questo corso perché mi incuriosiva molto il titolo “cinema e sogni”. Poi dalla presentazione che è stata fatta ieri, sia da Angelini che da Vinci, sono rimasta coinvolta nelle vostre spire e quindi eccomi qua. Dunque, io ho… arrivo subito… parto subito dal sogno. Ho visto il film e mi sono pianta anche il cervello, tanto per rimanere in argomento. Dopodiché ero molto preoccupata di non sognare nulla e invece ho sognato un’immagine che è un’immagine di una corsia ospedaliera, molto attinente chiaramente al sogno… al film scusate… una corsia ospedaliera, un corridoio di una corsia ospedaliera molto stretta, con delle barelle su entrambi i lati, su ciascuna barella c’era una persona rannicchiata, sdraiata… Tutto questo perché… nel film… la cosa che mi ha colpito di più è stata l’evoluzione della postura del corpo, cioè una cosa molto pratica. Nelle prime scene c’è questo corpo disteso, quasi tranquillo, via via che il film va avanti e che quindi la malattia incombe il corpo si rattrappisce. Ho trovato bellissima la scena in cui Emma Thompson assume quasi una posizione fetale, si nasconde sotto la coperta, quasi a voler fuggire da questo suo corpo che la costringe a vivere tutto questo… e mi è venuto in mente tutta una serie di questioni antropologiche appunto legate al corpo. Il corpo che non riesce a mentire, il corpo che non mente mai, che…si può dire una cosa con le parole ma poi farne altre attraverso gli atteggiamenti, le posture, la prossemica. Quelle stesse cose che dicono i medici… questo entrare e uscire velocemente dalle stanze, è perfettamente coerente con quello che viene detto. L’incoerenza, e quindi forse quello che diceva ieri Vinci no?… è proprio nella protagonista, questo corpo devastato con la mente che continua a funzionare e parla… Un’ultima cosa, l’ironia di questo film… insomma Mike Nichols non è un regista drammatico, l’ho trovato, non lo conoscevo, quindi sono ignorante, l’ho trovato assolutamente geniale proprio per la scelta di come è stato girato, di come è stato montato, per questi primi piani strettissimi, per questo distanziamento che mi ha ricordato in parte, e qui mi rivolgo ad Angelini che so essere esperto di cinema, mi ha ricordato in parte La linea verticale di Torre, che è chiaramente una cosa un po’… ecco… Basta, quindi questo è tutto, io sono molto sincera non vi ringrazio per avermi fatto piangere anche il cervello, vi ringrazio per avermi accolto a questo webinar. Buona giornata.

 

Partecipante n. 11: Eccomi… Tutto il sogno è un intero paradosso, cioè ieri proprio anche durante la visione del film questa parola mi è rimasta molto dentro perché se nel film si parla di affrontare la morte, io ho sognato di essere incinta… e accolgo degli amici per dire loro che sto per partorire, che sono al nono mese di gravidanza. Però quando arrivano questi amici mi rendo conto che in realtà sono tutto fuorché pronta a partorire perché in realtà la mia pancia è troppo piccola… e di conseguenza mi preoccupo e dico “ok, allora vuol dire che sta per nascere”. E in quel momento oltre ai miei amici mi rendo conto che c’è accanto a me il mio ragazzo, c’è accanto a me… ci sono anche i miei genitori, chiamiamo l’ambulanza, ambulanza che tarda a venire, tarda ad arrivare… Questi medici che, un po’ come quando cercavano di rianimare la protagonista all’ultimo, mi prendono, mi portano freneticamente dentro l’ospedale ma poi vengo abbandonata lì. Quella che sembrava essere diventata un’urgenza in realtà vengo messa in coda a tante altre donne che stavano lì in quel momento… E… nel frattempo leggo l’impazienza dei miei genitori che mi dicono “noi dobbiamo andare via, dobbiamo andare a prendere l’aereo”. I miei genitori vivono in realtà in un’altra città. E io, invece di pensare al fatto che sono pretermine rispetto alla nascita del bambino… non mi preoccupo di questo quanto piuttosto dell’assecondare il loro bisogno… Entro di corsa in questa stanza seguita da nessuno e quindi sentendo questo forte senso di solitudine nel vedere questa stanza, queste stanze grandi ma in cui io sento l’eco delle stanze e mi rivolgo alla dottoressa, a cui dico “che cosa devo fare, mi aiuti” e lei distratta continua a dirmi “non si preoccupi, non si preoccupi” e io tengo stretta a me questo bambino che sarà grande quanto una mano e lo tengo stretto, così tanto stretto che a un certo punto lei si giri, si gira, con fare anche scocciato, e mi dice “beh tanto adesso è morto” perché nel frattempo l’avevo così tanto stretto che l’avevo quasi soffocato. E mi dice “adesso puoi scegliere se…”. Io faccio “facciamo qualcosa”, “se lo rianimiamo la possibilità è che abbia dei danni cerebrali” e in quel momento, a differenza di quello che poi succede nel film “ok, non rianimiamo”, faccio la scelta di farlo rianimare e questo bambino, che poi scopro essere una bambina, nel momento esatto in cui riprende fiato in realtà diventa brutto, diventa brutto come se la bruttezza fosse il significato della… del danno cerebrale, del fatto di essere diventato lesionato. E io rimango con questo bambino per qualche istante e la dottoressa subito dopo mi dice “ok l’ha visto”, me lo prende in mano, lei se lo prende in braccio, si gira sul lettino e dice “ok, adesso non lo rivedrai più”. E mi sveglio così, mi sveglio e comincio a piangere… ho pianto penso subito dopo il sogno per una abbondante mezz’ora, e non riuscivo a calmarmi, e stamattina è continuata questa sensazione di impotenza e paradossalità, sperimentata poi in tutto questo, in tutta la sequenzialità del sogno, dell’avere i genitori che sono vicini ma se devono andare, dell’avere un compagno accanto ma che è troppo impegnato per il lavoro, per… e non si cura del fatto che là ci sia suo figlio e la sua compagna, ed è quello che in me forse più è rimasto di tutta la paradossalità del film. Grazie…

 

Partecipante n. 12: Dunque, premetto che è stato un film molto sentito, perché mia madre ha fatto lo stesso percorso, uscendone per fortuna bene, guarita, anche se deve fare sempre controlli. Ciò nonostante, io ho fatto un sogno che c’entrava poco col cancro. Praticamente stavo in un posto dove dovevo fare una specializzazione, dove c’erano molti libri, e veniva fuori che questi libri li avevo portati lì per condividerli e li volevo indietro. E questi mi dicevano “ma perché? sai tante cose, hai studiato tanto, perché non ce li lasci? Questa è tutta conoscenza.” Dico: “no, li ho portati per farveli vedere, adesso ridatemeli perché li ho comprati, ci ho investito sopra, vi siete presi i titoli, mi servono.” Premetto che io, nel periodo in cui mia madre è stata male, ho accantonato la questione… ho pensato solo a mia madre. Pure mia madre si è sentita un po’ in colpa per questa cosa. Ed è rimasto sempre questo rimpianto di non aver proseguito con la specializzazione. Io sono laureata in psicologia ma ho fatto pure un master di arteterapia, in cui c’era in ballo il rapporto mente-corpo. Penso che questo film mi abbia colpito perché c’era di mezzo l’interazione delle persone, il fatto delle cure, quale cura scegliere… e si vedeva il fatto di essere umani. E sono rimasta colpita dalla fine, dall’amica che arriva e la culla… e lei riesce a morire, praticamente. M’ha colpito il fatto che praticamente non ho sognato niente tranne il fatto dei libri. Non so a che… collocarlo, forse perché sono troppo intellettuale io, quindi assomiglio molto a lei, che mentre moriva pensava alla poesia di John Donne, oltre a lottare. Ecco, non c’ho nient’altro da dire a riguardo.

 

Partecipante n. 13: Buongiorno. Allora, io… dunque, come premessa… sono un paziente oncologico e mi sono riconosciuto molto nel percorso. Per fortuna dal punto di vista oncologico va tutto bene, al momento, però il percorso ospedaliero, la freddezza dei medici, l’ho sentito molto forte e, a maggior ragione… mi sentite parlare male perché la chemio a me ha lasciato una neuropatia molto importante, cosa che non mi è stata detta e… cosa che, quando è uscito, io adesso so esattamente cos’è e tutto il resto, ma in ospedale nessuno mi ha riferito questo. Io adesso ho dovuto cambiare medici e ospedale perché lì dentro comunque non esisteva questa mia condizione. Quindi nella freddezza dei medici del film mi sono sentito molto attivato. Ho fatto un sogno doppio, nel senso che… non erano due sogni, era lo stesso sogno ma con due parti molto distinte. La prima parte c’era una… una situazione di seduzione e corteggiamento da parte di un uomo più maturo verso una donna piacente sulla quarantina, ma molto semplice e… emotivamente ero molto più vicino alla donna in quel momento, dove in una grande macchina di lusso lui la portava al mare facendo guidare lei, ma responsabilizzandola del fatto che fosse una macchina importante, quindi, “sta’ attenta come guidi… guarda… fai…” fino ad arrivare al mare. Lui passa alla guida e con, appunto, un’azione molto seduttiva dice “vieni, ti porto adesso in un punto bellissimo.” Salgono su una zattera con la macchina, in maniera molto pericolosa, per far vedere il tramonto a lei dal mare, da dentro il mare, e si alzano delle onde, la macchina affonda però lui dice “non ti preoccupare tanto sono assicurato”. Quindi la parte della responsabilità femminile era durante tutta la guida, improvvisamente quando ritorna in mano al signore la macchina affonda e tutto andava bene… Passa un carroattrezzi, li recupera con l’assicurazione e li porta via. E poi comincia il secondo sogno dove entro io, e siamo in un paesino diciamo ciociaro, agricolo, dove faccio conoscenza con un ragazzo che ha una casa con un piccolo orto e dove in questo orto c’è una vigna di una particolare uva che non si trova più ma che una nota casa vinicola sfrutta per un importante vino. E lui dice “io ce l’ho questo vino, quest’uva, ma non riesco a coltivarla” e io penso “beh, facciamolo, ti aiuto io…” e praticamente poi faccio i conti che se avessi cominciato a coltivare quel pezzo di vigna sarebbero uscite solo 100 bottiglie. Dico “beh, 100 bottiglie ci bastano giusto per noi per un anno” e lì l’intuizione di affittarmi casa mia a Roma, andare a vivere con quel ragazzo e coltivare quella terra solo per berci quelle 100 bottiglie che saranno le nostre. L’interpretazione di stamattina è stata molto semplice, cioè la scelta del piacere rispetto alla prestazione, rispetto alla vendita, che mi ha riportato poi alla malattia nel senso: ok, sono abbastanza arrabbiato di non camminare, di parlare male e di non suonare più il pianoforte in questo momento e… niente… questo ve lo volevo restituire molto rapidamente perché è stato molto chiaro l’interpretazione anche se il sogno parlava di tutt’altro, ma… e il film ieri mi ha fatto arrabbiare parecchio.

 

Partecipante n. 14: Allora io volevo fare una piccolissima premessa… Io ho avuto un calvario diagnostico per una malattia rara che non si riusciva… non si riusciva a diagnosticare, dai 17 ai 29 anni. Il film di ieri ha rievocato un po’ tutto il calvario mio… sono stata ospedalizzata parecchio tempo, però… diciamo quindi è iniziato questo sogno tra infermieri umani e gentili che… avevo incontrato, ma anche il personale medico e paramedico mediocre… diventavi un numero… Quindi ho fatto un po’ un percorso, anche questi flashback collegati agli ospedali e a tutto quello che erano le visite, e a un certo punto arrivo nel presente, con mio figlio e mio marito andiamo in gita in montagna… io vivo in Trentino quindi siamo nei boschi, doveva essere una semplice gita e invece da una passeggiata nel bosco a cercare funghi come facciamo spesso, si è trasformato in una vera impresa montana, cioè sembrava di… di scalare l’Everest… guardo mio figlio, camminiamo mano nella mano e mi dice, sempre su questa strada piena di neve “mamma stai qui con me, rimanici per molto tempo va bene?” io lo guardo e gli dico “non vado da nessuna parte adesso, sono qui e intendo rimanerci”. Poi vedo… un passerotto dal petto rosso che è esamine sulla neve davanti a noi; lo prendo in mano per cercare di rianimarlo e mio figlio si agita perché vuole che voli no, che sia vivo, che… e lo tengo tra le mani ma non si muove. Allora, insomma, sono un po’ preoccupata dico “siamo qui, come faccio, devo far qualcosa!” Alzo lo sguardo e la strada è sempre più impervia, sempre più lunga, come se si allungasse no, come un tapis roulant che va sempre più… si estende sempre di più. Davanti a noi appare un’ombra e mentre mi distraggo per vedere chi fosse… il pettirosso inizia a destarsi no? come da un sonno… e gli alzo l’ala per vedere se va tutto bene, se era ferito… e sotto l’ala, nel piumaggio c’era scritto… incisa una frase, come un marchio che era “carpe diem” e il pettirosso mentre leggo, è nelle mie mani, si trasforma in una carpa tutta d’oro e io mi sveglio così, un po’ frastornata. Ora vabbè, ci saranno sicuramente delle connessioni importanti ma volevo solo condividere con voi due cose: uno, che la solitudine che c’era nel film dell’affrontare il dolore fisico, io mi sono ritrovata molto perché quando ci sono situazioni dolorose anche proprio fisicamente, non solo psicologicamente, si è soli, cioè con tutte le tue risorse ma devi affrontare tu quella sfida, nessuno lo può fare per te, quindi gioca…la parte buona della medaglia è che veramente ti scopri avere delle risorse incredibili, e io lì le ho scoperte tutte… E il finale del film, dove c’è questa morte, insomma, con la poesia di Donne e anche questa infermiera che rispetta il desiderio della paziente… ecco questo secondo me è stato un messaggio forte, io mi ci sono trovata molto nelle persone che ho incontrato anche, dove c’era molto rispetto e anche molto accudimento, perché in quei momenti lì è vero che regrediamo un po’ no? quando stiamo molto male si ritorna un po’ nel bisogno di accudimento e di… sì insomma… di essere anche riconosciuti. Ecco. Quindi grazie a voi per questa esperienza.

 

Prof. Nesci: In che cosa si trasforma l’uccellino, non ho sentito, nel sogno?

 

Partecipante n. 14: In un carpa d’oro… quei pesci giapponesi, una carpa koi, era una carpa koi… dorata.

 

Prof. Nesci: Ah, un pesciolino… C’è anche nella storia del coniglietto, il pesciolino. Quando la professoressa racconta, no? del coniglietto che vuole scappare e della mamma che sempre lo va a riprendere finché il coniglietto non scappa più e resta con lei… Molto bello. Grazie.

 

Partecipante n. 14: Grazie a voi

 

Partecipante n. 15: Buongiorno a tutti. Io vi racconto solo il sogno, sono essenziale. Allora c’è una riunione del Movimento per la Vita. Il capo di questo movimento si mette ad ascoltare tutti quelli che hanno bisogno di parlare con lui. C’è una lunga fila, allora si siede e chiama questi colloqui “la confessione” e mette proprio questo titolo appeso al tavolo. Vedo uomini e donne in fila, io sono una specie di segretaria che mette le persone in ordine di arrivo e con uno strano aggeggio stampo dei promemoria per questo capo, tra i quali scrivo il posto dove vogliono fare una gita queste persone, un gruppo di queste persone. Il vicecapo è contrario a questa gita e cancella il nome di quel posto. Viene chiesto, comunque, alla guidatrice filippina di un pullman, di fare un sopralluogo per vedere se si può andare in questo posto. Lei va con questo pullman ma la strada è troppo ripida e non riesce a girare su quella strada e rinunzia. Ma alcuni dei partecipanti dicono che vogliono andare lo stesso e si mettono d’accordo per salire e a piedi e raggiungere la meta suggerita. E così termina il sogno… Grazie a tutti.

 

Partecipante n. 16: Allora, io diciamo che nel mio sogno… io di solito faccio tre sogni, quando facciamo il workshop Cinema e Sogni… quindi al solito ne ho fatti tre; quindi, racconterò tre scene che hanno molto a che fare tra l’altro con diversi dei temi che sono usciti… Nel primo sogno la cosa caratteristica è che mi trovo in un edificio pubblico… A poco a poco mi rendo conto che potrebbe essere un garage, e in particolare un garage di un ospedale, di un ospedale qui di Roma, il Regina Elena, che peraltro si occupa di tumori, ovviamente. Sempre in questa scena a un certo punto compare un bambino, che nel sogno io interpreto come un mio nipote ma in realtà il viso è quello di un bambino con cui lavoro a scuola, che io lavoro anche a scuola… e questo bambino è autistico e, a proposito del tema del sogno, del libro, del leggere, del capire… questo bambino mi chiede, lui il bambino in realtà non parla ma nel mio sogno parlava, e mi chiede che cosa succederà quando dovrà leggere un libro e non saprà come fare. Allora, io diciamo che nel mio sogno… io sono in un bagno che, diversamente da come sono normalmente i bagni… delle scuole in Italia, è molto bello, molto elegante, molto chic al punto che ci sono questi saponi, sapone liquido, che in realtà sono delle creme e quindi sono eleganti, belli, li uso, però in realtà non lavano… cioè io li uso per lavarmi le mani, non fa schiuma e non lava quindi dico “ah sì sì molto bello” e questo mi ricorda un po’ l’ambiente, diciamo, dell’ospedale che a tratti può essere, no? molto esteticamente come quello rappresentato nel film, molto accogliente, però a tratti, magari nelle persone che si possano incontrare, può risultare poco, in realtà, accogliente… Grazie.

 

Partecipante n. 17: Sì buongiorno. Non sono evidentemente la persona di cui leggete il nome nella videoconferenza, ma sono il marito [risate], sono stato coinvolto da lei, lei è psicologa, psicoterapeuta, io sono un medico invece e mi ha coinvolto piacevolmente in questo webinar, nella visione di questo film che abbiamo visto, diciamo, su vari livelli, da più punti di vista, io da medico, lei da psicologa, ma in realtà anche da marito e paziente perché mia moglie ha avuto un problema di tumore al seno due anni fa… Abbiamo rivissuto, direi anche con commozione, i vari momenti della diagnosi, della… così, dell’affrontare questa… questa nuova cosa ecco, che ci è sopraggiunta, la chemioterapia, l’intervento chirurgico, il cambiamento del corpo con la chemioterapia, tutta una serie di cose. Quindi abbiamo appunto rivissuto un po’ questo percorso e… io devo dire… dal punto di vista del medico, il medico non ci fa una buona figura ecco in questo film assolutamente, purtroppo, e l’ho vissuta un po’ con disagio no? questa cosa, sia per come di fatto da tutto il personale medico viene trattata questa paziente che aveva bisogno, anche lei se vogliamo molto tecnica, no? Lei ha vissuto questo approccio nei confronti dell’umanità un po’ dal suo punto di vista di professoressa nei confronti dei suoi allievi e si ritrova, come i suoi allievi al suo tempo con lei, si ritrova dall’altra parte come paziente nei confronti di medici molto tecnici e quindi il disagio e l’approccio di questi medici nei confronti di questa paziente che aveva, ha tutt’altri bisogni e il disagio è anche nel… insomma dal mio punto di vista… quello di correre il rischio un po’ no? di rendere routine un po’ il lavoro occupandosi di problemi e non di persone no? che è un po’ quello che rischio io nel mio lavoro un po’ tutti i giorni. Ecco, quindi, ovviamente mia moglie ha vissuto un po’ anche così dal punto di vista dell’approccio psicologico un po’ tutte le figure, soprattutto… quella che si salva è un po’ l’infermiera no? che ha tanto da insegnare no? alle persone da cui dovrebbe imparare, nel senso che ha da insegnare tantissimo dal punto di vista dell’umanità no? a tutti i medici che le passano davanti. Detto questo andrei direttamente al sogno, che non saprei collegare perché non ho gli elementi per collegarli, per collegarlo, è un sogno che ho fatto stanotte e che… in cui appunto mi trovavo io con mia moglie a dover festeggiare il Ferragosto. Eravamo io e lei senza i nostri figli e io mi dovevo insomma occupare di trovare un posto in cui andarlo a festeggiare, un posto in cui andare a mangiare. Avevo poi trovato un luogo che in realtà esiste veramente, si chiama “L’oasi degli animali”, è un posto molto carino. Noi entravamo in questo luogo dal retro, non so bene, sembrava l’ingresso quello giusto ecco, che si doveva percorrere, entriamo dal retro, quindi dalla cucina, entriamo in questa sala in cui c’erano questi tavolini, tutto intorno era bello, c’era una cascatella, un fiume, un praticello dove ci si poteva riposare e all’interno della sala dove c’erano i tavolini… noi ci accingiamo ad occupare il nostro tavolo per due persone e vicino c’era un signore con un cane nero al guinzaglio che incomincia a ringhiarmi in modo molto feroce a me, no? Io ho paura dei cani e c’era questo cane che mi ringhiava proprio in modo molto violento. Io mi spavento, mi assicuro che il suo padrone riesca a tenere questo cane al guinzaglio, ci spostiamo di tavolo, c’era un altro tavolo per due libero, stiamo per sederci e questo cane mi insegue no? Io cerco di… appunto, scappare da questo cane, a un certo punto poi il padrone riesce a riprenderlo al guinzaglio e il sogno finisce. Il sogno finisce in questo modo e… e boh, ripeto non so bene collegare però probabilmente qualcosa c’è ecco di suscitato dal film che ha sedimentato durante la notte può… può esserci.

 

Dr.ssa AVERNA [è la moglie del prof. Nesci ed è accanto a lui nella videoconferenza, si rivolge al Dr. Marco Mascioli, di FCP, moderatore dell’evento]: Marco, posso dire una cosa? [Il Dr. Mascioli annuisce] Allora intanto al collega… siamo anche noi due medici, siamo marito e moglie e lavoriamo da quando ci conosciamo insieme, sono 37 anni… io sono ginecologa e Domenico è psichiatra, quindi noi abbiamo sempre, come dire, ci siamo sempre preoccupati non solo dell’aspetto, appunto, legato alla nostra professione medica ma anche, appunto, alla cura, no? Che è il motivo per cui poi Domenico ha inventato il workshop Cinema e Sogni che io ritengo molto molto molto formativo… fatta questa piccola premessa, per dire “sì, pure noi ci siamo sentiti a disagio…” ma in realtà spesso son così i medici; quindi, è la verità… quello che volevo dire è che io pure ho sognato un cane, il nostro cane… Noi abbiamo avuto un golden retriever… ti garantisco i golden retriever sono buonissimi; quindi, se un domani volessi prendere un cane per i tuoi figli te lo consiglio perché sono dei cani veramente eccezionali. Abbiamo avuto una golden retriever per 15 anni e poi è morta due anni fa, e quindi mi sono sognata il mio cane, il nostro cane che era praticamente un membro della famiglia e quando mi sono svegliata ho fatto questo pensiero molto sereno, molto bello, di questo nostro cane che ci ha accompagnato per 15 anni, tra l’altro in un momento molto particolare della nostra vita perché per 10 anni noi abbiamo avuto i figli all’estero, in America… proprio in quel periodo avevamo preso da poco il cane, il cane ci ha fatto compagnia, è stato il figlio che ha sostituito i figli lontanissimi. E niente… quindi mi sono svegliata con una grande serenità, ho pensato appunto che i cani sono una compagnia della vita… e mi è venuto così, come associazione, proprio quella di dire “beh vedi forse noi quello che facciamo di importante del nostro lavoro non solo è di cercare di curare, ovviamente, i pazienti, ma forse quello che è più importante è quello di accompagnarli in un percorso di cura o magari in un percorso di morte…”

 

Prof. Nesci: [rivolgendosi al prof. Angelini che ha alzato la mano per intervenire] Alberto, vai…

 

Prof. Angelini: Sì, molto brevemente, un’associazione cinematografica. Il cane nero, forse vi ricordate… Il mastino dei Baskerville di Sir Arthur Conan Doyle dove appunto c’è la scomparsa, no? del proprietario, insomma nobile eccetera eccetera… e Sherlock Holmes fa un po’ lo psichiatra, un po’ il medico, un po’… cioè cercando di capire… in realtà va incontro a dei segreti che appartengono a persone e a famiglie. E poi questa idea del cane nero che è un archetipo junghiano e che ritroviamo in molte culture, in molte situazioni no? L’ambivalenza del cane che, come appunto diceva Simonetta, è una presenza bellissima però le due facce della medaglia, no? che appunto, no? in queste questioni estreme, la vita la morte, sono la stessa cosa, i sogni di morte possono essere i sogni di rinascita e viceversa…

 

Partecipante n. 17: Grazie

 

Partecipante n. 18 [è la moglie del Partecipante n. 17]: Ringrazio anch’io ovviamente. Io sono la moglie [risate]. Io non ho sognato un cane ma posso dare una mia piccola visione sul mio sogno. Però forse c’era il professor Vinci con la mano alzata e quindi magari io posso poi…

 

Prof. Vinci: Prego, prego… parli lei, prego…

 

Partecipante n. 18: Io non ho appunto sognato il cane, io ho fatto dei sogni poco… di cui ho poco ricordo durante… insomma notturni. Mi è rimasta invece un’immagine di un sogno mattutino, fatta dopo essermi svegliata, intenzionalmente riaddormentata per potermi sentire un po’ più riposata perché non mi sentivo ancora abbastanza riposata… e a questo punto l’immagine che ho sognato, molto semplicemente, è stata dei nostri due figli, noi abbiamo due figli gemelli e… ho sognato che io… allora a uno di loro due, che effettivamente in questi giorni non sta tanto bene, gli stiamo facendo qualche analisi per capire se abbia intolleranze, queste cose normali, ovviamente purtroppo con la mia storia ecco nella realtà il pensiero che possa non essere una semplice intolleranza evidentemente da qualche parte lo sto coltivando, perché poi appunto nel sogno io davo a lui delle… dei ceci secchi, quei ceci cotti al forno… così… e quindi c’è l’immagine di tutti questi, questi pallini che sono questi, questi ceci che io gli do… e l’altro figlio, il fratello, viene e mi dice “mamma ma perché invece a me non li dai?” E il primo bambino che invece è quello che li riceveva risponde lui e dice “queste cose sono solo per chi ha qualcosa di grave…” e il sogno finisce qua. Però direi che questa frase me la sono segnata, insomma, al risveglio.

 

Dr. Marco Mascioli [moderatore, FCP]: Non so se Paolo voleva intervenire…

 

Prof. Vinci: Sì, io diciamo sono molto colpito da quello che sta accadendo perché veramente la ricchezza, il coinvolgimento dei temi è straordinario, insomma, e… per me, che anche ho partecipato ad altri di questi, di questi incontri, però veramente questa volta l’impatto è molto molto forte. E direi che un dettaglio che mi ha molto colpito è quello che ritorna in due sogni, di una mano che tiene il pettirosso e una mano che tiene il neonato appena nato no? questa mi ha colpito sia per l’importanza proprio della mano no? che sappiamo è quella parte del corpo più nobile per certi versi e più rivolta agli altri e la mano qui è un po’ il luogo in cui…insomma tra la vita e la morte in tutti e due i casi, in tutti i due casi. E questo corrisponde al senso del film perché poi il verso finale che dice “morte più non sarà” no? Che vuol dire “morte più non sarà?”  Morte non sarà più anche quando invece c’è la morte, perché noi possiamo affrontare questa, questa minaccia, questa minaccia tremenda no? e credo che poi in molti dei sogni ci sia questa tensione tra l’accettazione e la fuga, che poi produce anche l’alternativa tra un senso di liberazione e invece un senso di minaccia. Ecco mi sembra che il film in molti ha suscitato un senso di liberazione perché fa bene accettare, cercare di… almeno sforzarsi di accettare l’irreparabile o inevitabile, però poi viviamo in questo costante senso di minaccia che ci avvolge, che poi diciamo in un’occasione come questa, sentendo quanto tutto ciò ci circonda no, quindi quanto poi non… non sia produttivo rimuovere questa dimensione, che come in certe fasi della nostra vita tutti noi credo abbiamo fatto… ma poi abbiamo capito che invece ne siamo inevitabilmente toccati, diciamo. Quindi questo intanto volevo dire, per non dilungarmi troppo.

 

Prof. Nesci: mi viene voglia allora di ricordare a tutti noi quella scena del film in cui, quando l’aggravamento della situazione della paziente è evidente, l’infermiera mette una crema sulle sue mani e… diciamo la applica sulle mani della paziente… e dopo averla accarezzata con le mani sulle mani, continua a… diciamo, quel residuo di crema che è rimasto se lo mette a se stessa nelle sue mani, un gesto profondissimo di condivisione che credo sia molto importante… che tutti abbiamo colto e che secondo me ha consentito oggi, stamattina, di fare un workshop Cinema e Sogni che effettivamente ha qualcosa di più rispetto a tutti quelli che abbiamo fatto dal 2000 ad oggi… perché io il workshop Cinema e Sogni lo faccio dal 2000, quindi siamo a 23 anni di esperienza di questa, di questo strumento per la formazione degli operatori sanitari… e beh, quello che state facendo voi oggi è veramente straordinario. Io anticipatamente voglio ringraziare tutti perché siete stati bravi, vi siete messi in gioco, avete veramente condiviso qualcosa di prezioso, di molto intimo, i sogni, i nostri sogni professionali che sono una cosa tanto importante quanto trascurata e sottovalutata nella formazione permanente di chi si prende cura… e quindi di chi assorbe il pathos dei pazienti…

 

Partecipante n. 19: Buongiorno mi sentite? Ah ecco, buongiorno. Allora da dove partiamo? Innanzitutto da un’enorme rimozione, nel senso che io, essendo insegnante di storia e filosofia, avendo la mamma insegnante che non c’è più, una zia suora insegnante che è stata la mia insegnante di storia e filosofia, io vedendo il film mi sono concentrata sull’aspetto dell’insegnamento e ho completamente rimosso, me ne sono accorta stamattina, sentendo i vari interventi, che mio padre è morto di cancro ai polmoni nel giro di un mese e mezzo… Vedendo il film devo dire che non mi ha per niente coinvolto ma anche lì, evidentemente, ero dissociata… e mi sono resa conto negli anni che io dissocio tantissimo e ci metto anni prima di sentire il male che ho dentro, e quindi probabilmente mi sono iper-riconosciuta essendo lei appunto un’insegnante eccetera eccetera… Ecco poi, tornando diciamo ai sogni, già stranamente me li sono ricordati perché di solito io non me li ricordo… Ecco centrale è il senso di vergogna… ecco teniamo presente che io ho una educazione molto severa, zia suora, ma soprattutto il papà molto molto severo… in una scena io sono in un museo abbastanza strano e mi viene voglia di fare la pipì in pubblico no? perché sentivo odore di pipì e pensavo “ma tutti la fanno, perché non la posso fare anch’io?” Quindi questo enorme senso di vergogna. C’è una persona poi che scivola sul pavimento bagnato, probabilmente da questa… da questa pipì, e quindi c’è questo senso di, insomma, disagio no? Poi un’altra scena invece innocua, nel senso che io sto andando con delle amiche verso il centro Italia, non so bene dove, poi decidiamo di scendere giù fino a Matera e io dico “che bello, che bello” però poi penso “devo andare a scuola lunedì quindi non ce la facciamo ad andar giù e tornare”, io sono di Genova no? quindi da un lato dico “che bello” e dall’altro questo senso del dovere, la scuola e tutto il resto. Poi altra scena, anche qui vergogna, perché io praticamente sto facendo sesso con non so chi al buio, vedo una lucina rossa, c’è una persona che vaga nella stanza e sembra non vederci, forse penso sia mio padre quindi la vergogna è ancora più profonda e rimango insomma lì; quindi, sono dissociata tra questo momento di vita e il padre, insomma, che mi vede. Poi c’è un’altra scena, in realtà ce ne sono ancora diverse… ecco sono su una spiaggia con mia sorella, sullo sfondo c’è un uomo, forse il mio fidanzato o un ex fidanzato non lo so, e vedo me con un costume da bagno… che sembra tipo come se fosse una pelle di un pitone no? e dico “guarda che bel costume che avevo…” e vorrei averlo ancora oggi. Non saprei dire ovviamente significato. Poi ancora un altro… ah no, questo è il pezzo di sogno di quando ero al museo… a un certo momento mi trovo in un bagno con uno sconosciuto, siamo molto vicini, invade il mio spazio vitale, mi sento a disagio.  Poi sono in un posto a mangiare un panino all’aperto e… ed è molto sporco, carte, cartacee e io sembro di essere l’unica, insomma, che percepisce questo sporco, questo fastidio, mi vien voglia di pulire, tutti gli altri invece son belli tranquilli, mangiano; diciamo che io a scuola coi ragazzi spesso gli faccio pulire il cortile perché vedo questo scempio e mi sembra una contraddizione no? siamo in una scuola, vi insegniamo educazione civica e poi vediamo tutto questo sporco. Ecco, per cui questi sono i miei sogni e questo senso proprio di… ah ecco una buona notizia è che io, diciamo, ho insegnato perché mia zia mi aveva detto “fai il concorso da insegnante” e io l’ho passato sperando di non passarlo e di non fare la scelta, diciamo, di mia mamma e di mia zia, e invece sono diventata insegnante e diciamo che da quando insegno, cioè 23 anni, ho passato questi anni a cercare di capire se fosse una scelta mia oppure una scelta subita, come l’ho subita diciamo da bambina, insomma dovevo solo obbedire ed essere la brava bambina, poi ho capito che mi piace insegnare e già da subito ho insegnato però a modo mio no, con uno stile completamente diverso, non repressivo, lasciando gli alunni liberi e quindi mi rendo conto che non arriverò alla fine della mia vita come questa protagonista perché io per fortuna ho capito sempre di più di dare amore e comprensione ai miei alunni, quindi cerco di essere esattamente l’opposto dell’educazione che ho ricevuto, ho perdonato diciamo gli errori di mia mamma e di mia zia perché ho visto che erano errori di inconsapevolezza, mi hanno dato un’enorme cultura, un’enorme amore per la conoscenza, ecco io cerco di trasmettere le cose buone ma in modo diverso, mi sembra di riuscirci, insomma, dai… dai risultati e è come se fossi l’ultimo anello di questa catena che ripete, ripete questo meccanismo perverso… e la cosa però particolare, forse che mi consola ancora di più, è che gli alunni, gli ex alunni di mia zia e di mia mamma le ricordano con grande amore, affetto stima e quindi forse solo con me sono state particolarmente rigide per avere il meglio ma con altri alunni invece sono riuscite a fare invece un ottimo lavoro. E quindi, ecco diciamo che insomma questa è la mia storia, pensavo che mi avesse colpito di meno… anche nel raccontarvela è come se fossi ancora abbastanza dissociata no, sto parlando con la mente più che con la pancia, poi magari elaboro in giornata e piango a dirotto. Comunque vi ringrazio tantissimo per questa… questa opportunità, me la porterò in classe, come porto tutta la mia vita in classe, e vi ringrazio veramente tanto.

 

Prof. Nesci: Noi abbiamo fatto il workshop Cinema e Sogni anche in ambito scolastico, anche per un grosso gruppo di docenti.

 

Partecipante n. 19: E allora fatemelo sapere perché parteciperò assolutamente volentieri!

 

Prof. Nesci: No, ci contatti lei e lo organizziamo insieme.

 

Partecipante n. 19: Ah perfetto, perfetto. Grazie davvero tanto, grazie dell’ascolto a tutti.

 

Partecipante n. 20: Mi sentite? Allora, devo dire che ieri sera sono andata a dormire con la… con un po’ d’ansia, per la sensazione di avere un compito, quello di sognare. Io è la prima volta che partecipo… che partecipo a questo… a questo gruppo. E… comunque il sogno poi è arrivato, diciamo, dopo altri, probabilmente, non ricordo. Il mio sogno è diviso in due parti, cioè due scene che fanno parte dello stesso sogno. La prima è un po’ sfocata e c’è una donna che non conosco che deve essere trasferita dal lavoro come se fosse una punizione. Non so per quale motivo debba avere questa punizione. Io sono lì presente in questo contesto di saluto/giudizio e chi giudica sono tutti dei maschi, probabilmente in divisa, cioè l’esercito, e devo dire che io ho lavorato in quell’ambiente, e qui finisce la scena. La seconda scena del sogno… cioè cambia improvvisamente il sogno… è notte, sono al mare e vengo accompagnata su una specie di piccolo motoscafo, sono seduta sul sedile posteriore e avanti ci sono a guidare due persone, un uomo e una donna. Penso che non sono mai andata così in mezzo al mare di notte, su un motoscafo poi, e ho nello stesso tempo un vissuto di paura e di curiosità e di abbandono, ma fiducia in chi guida. Così è tutto silenzioso, anche non si sente il rumore che dovrebbe avere in motoscafo, insomma soltanto il mare, non si sente alcun rumore, e arriviamo su un’isola e lì si deve scendere. Io penso fra me e me “come faccio a scendere se sono tutta vestita con le scarpe? Dovrei mettere le scarpe nell’acqua…” e invece quando aprono proprio una porta dal lato del… di questo motoscafo e mi invitano a scendere, vedo che invece metto i piedi sulla terraferma, cioè come se il motoscafo va direttamente sulla terra ferma, una spiaggia, una spiaggia, sabbia e mi sento al sicuro. Vi dico le mie associazioni brevemente. Le due persone che guidano il motoscafo ho pensato ai miei figli, sono un maschio e una femmina, son grandi; la donna, invece, del primo sogno assomiglia un po’ all’attrice del film, ma anche… anche a una persona che conosco che lavora dove lavoro io, cioè in carcere, ed è un’ispettrice… un’ispettrice di polizia che in realtà però è una persona sempre… che mostra sempre apparentemente di essere allegra, anzi eccessivamente allegra. Un’altra cosa che mi è venuta, e chiudo, è un’associazione fra il maschile e il femminile nel sogno [è un lapsus, voleva dire nel film], cioè i medici sono tutti maschi e sembra che il loro atteggiamento, comportamento, sia verso la negazione della morte e invece l’infermiera, in particolare quella che si occupa della paziente, tra l’altro gli infermieri sono tutti di colore, mi rappresentano, ho pensato insomma dopo il sogno, che… che è un sogno in cui mi sembra di rielaborare la mia di morte… che invece portino un messaggio femminile di accettazione e di accompagnamento alla morte. Grazie a tutti.

 

DOPO UNA BREVE PAUSA SI RIPRENDE IL WORKSHOP.

 

Dr. Marco Mascioli [moderatore, FCP]: Intervengo per dire che io sullo sfondo ho una televisione… ed è appena passata una pubblicità della Festa del Cinema di Roma.

 

Prof. Nesci: E certo… Marco, oggi siamo assolutamente dentro la Festa del Cinema di Roma. Allora a questo punto intervengo anch’io su questo… Mi è molto piaciuto che i partecipanti hanno rievocato quella serie televisiva di Mattia Torre, “La linea verticale”. Voi dovete sapere, ora non mi ricordo l’anno, se è stato nel ‘16, nel ‘17, nel ‘18, ma insomma, quando è uscita La linea verticale, abbiamo fatto il workshop Cinema e Sogni con Mattia Torre, sempre per le Risonanze della Festa del Cinema di Roma… Mattia Torre è venuto da noi, al Policlinico Gemelli, di persona, e ha presentato due episodi della sua serie televisiva, dopodiché noi li abbiamo visti nella sala MediCinema del Gemelli, e poi li abbiamo sognati. Ed è stato anche quello un workshop molto molto molto molto bello… Che purtroppo non abbiamo registrato…

 

Dr.ssa Averna: era il 2018, ho guardato la data, il 14 ottobre 2018.

 

Prof. Nesci: C’erano tantissimi infermieri del Gemelli, oltre ad altri partecipanti… E in quell’occasione abbiamo regalato una targa ricordo a Mattia Torre, per ringraziarlo di essere venuto. Ma torniamo a noi, diamo la parola ai partecipanti di oggi.

 

Partecipante n. 21: Buongiorno a tutti. Allora racconto il mio sogno dopo aver visto questo film che mi ha emozionato tantissimo. Nel sogno mi trovo nella casa dello studente, che è appunto la casa dello studente dove io alloggiavo durante il periodo universitario. Ci sono tante stanze quindi il luogo lo riconosco nel sogno, e in queste stanze tante persone che ovviamente conosco, adesso però… mentre cammino per il lungo corridoio mi accorgo che mi stanno arrivando le mestruazioni. “Come è possibile?” mi chiedo perché sono già tanti anni che sono in menopausa e non è proprio possibile. Chiedo ad alcune persone se hanno un assorbente, un’amica allora me lo da. Io cerco disperatamente un bagno per potermi cambiare ma c’è sempre qualcuno dentro, io non riesco a trovarne uno libero che mi dia un po’ di intimità. A un certo punto entro in una grande stanza, dove c’è appunto un bagno, ma è come se fosse una stanza, e io non posso più aspettare, devo cambiarmi, sono molto bagnata e perdo sangue. Decido comunque, pur essendoci un’altra persona all’interno della stanza, di cambiarmi e mentre mi sto cambiando entrano tante altre persone. C’è anche Maria, una mia carissima amica, che assiste alla scena e cerca con un grembiule di coprirmi per riservare la mia intimità. Questo è il mio sogno. Vi ringrazio per questo bellissimo workshop Cinema e Sogni. E grazie.

 

Partecipante n. 22: Buongiorno a tutti… io volevo innanzitutto ringraziare anche il dottor Nesci, che sto seguendo in questi giorni, sul portale FCP, il suo corso ECM, appunto sulla multimediale: è stato una scoperta meravigliosa. Io appunto sì sono psicologa quindi, ecco, mi sto aggiornando su questo tema. E sì, volevo raccontare il mio sogno… in realtà è collegato a un sogno che ho fatto qualche tempo fa ma penso sia molto significativo e questo webinar, insomma, penso che cada a pennello. Io ho perso vent’anni fa, nel 2000, la mia migliore amica di linfoma di Hodgkin e questo evento, io avevo 14 anni, ha un po’ segnato… un po’ insomma, quello che è stato poi il mio, diciamo, avvenire anche come, appunto, percorsi di studi… ecco, io ho fatto psicologia, ho fatto il tirocinio in oncologia pediatrica, è stato un anno meraviglioso quanto tosto, insomma voi saprete meglio di me, bellissimo però rimane, e quindi sentire le sue parole durante… quando parla della multimediale, tutto quello che fate, mi ha veramente riacceso tantissimo questa voglia di… di tornare lì. Io al momento lavoro come educatrice coi bambini, quindi insomma sono nella parte tra virgolette sana, ecco, dell’infanzia e anche se quello sento che è il mio, niente, è un fuoco troppo… troppo acceso, solo grazie a lei appunto ho riscoperto questo grande amore, diciamo, per la Psiconcologia quindi poi magari la disturberò via mail, insomma, se farà altri corsi o seminari, insomma…

 

Prof. Nesci: Mi scriva tranquillamente dottoressa.

 

Partecipante n. 22: Grazie mille, gentilissimo, grazie mille. Eh sì il mio sogno riguarda proprio Michela, questa mia amica appunto di cui parlavo… in quel sogno eravamo ai giorni nostri e io ho visto lei viva come sarebbe adesso all’età di 41 anni, lei è morta a 18, quindi ovviamente è un po’ tra virgolette cresciuta, invecchiata, in senso buono insomma, come sarebbe adesso, e la cosa sconcertante è che io ero esattamente come sono ora e lei… e io le continuavo a dire “ma scusa, ma allora sei viva! Ma com’è che in tutti questi anni tutti ti abbiamo pensato che a causa del linfoma tu non ce l’avessi fatta” e mi ha detto “No io sono viva, ho voluto fare questa scelta, mi hanno curato dei signori del mio paese, nessuno lo sapeva ma adesso è giusto che io tornassi a salutare tutte le persone che mi hanno amato tra cui la mia famiglia, e quindi tra cui tu che insomma, con altre, eravamo tra migliori amiche insomma”. Questa cosa mi ha abbastanza toccato, questo sogno era assolutamente nitido, era… io ero nella mia casa di adesso, ero come sono adesso, con la mia macchina, cioè proprio esattamente come se vedessi un’altra amica viva, diciamo così, e mi ha toccato molto, mi ha toccato molto perché era assolutamente come una cosa che fosse fattibile, cioè io, no? Ho visto lei che mi diceva “sì io ho preferito stare per conto mio, io però in realtà non sono morta, sono qua e possiamo continuare a riprendere la nostra vita insieme di divertimenti, di uscite, di vacanza, tutto quello che non abbiamo fatto perché tu pensavi che fossi morta, invece a Torino mi hanno salvato e io sono poi andata appunto nel paesino del Piemonte e quindi mi hanno curato di nascosto”. E io dopo un po’ mi sono svegliata assolutamente molto, un po’ scioccata però ricca di dettagli vivi e vividi di come fosse… potesse essere, ecco, perché non so neanche il verbo da usare… come sarebbe adesso, ecco, con i capelli lunghi e tutto quanto, e mi ricordo l’ultima cosa era questa, che io continuavo a dirle “ma tu perché sei qua proprio adesso, cosa mi vuoi dire?” Cioè un po’ quasi come un oracolo, no? Perché io per 23 anni ho fatto tanti corsi, tanti studi, tanto lavoro su di me, ho fatto anche un diploma di counselor, adesso sono… quindi voglio trovare… una cosa nella mia crescita personale che possa dare una collocazione a questa mancanza… perché nella mia vita è chiaro che sarebbe andata diversa, insomma, avremmo studiato magari anche all’estero… quindi ha preso una piega completamente diversa da quella che io mi sono immaginata all’età di 14 anni, quando hai la migliore amica più grande che è un po’ un idolo diciamo così. Quindi questo sogno mi ha particolarmente toccato e ci sto continuando un po’ a lavorare, appunto, anche con il mio proprio counselor… Era questo, vi ringrazio molto e grazie ancora dottor Nesci, insomma, per il suo contributo e… ecco, insomma, per tutto quello che mi ha appunto risvegliato. Era solo questo. Grazie…

 

Partecipante n. 23: Buongiorno mi sentite? Già avevo percepito dall’introduzione che sarebbe stato un… m’avrebbe colpito molto… e mi sono anche commossa in realtà. La prima associazione che ho fatto è  con mia madre che è morta di cancro al seno con metastasi ossee, quindi è stato un percorso molto molto duro e quello che ho provato guardando questo film, ripensando alla solitudine di mia madre nella sua sofferenza, perché era immensa e non… era veramente un grandissimo dolore per noi vederla soffrire così tanto, ecco… e una cosa che è veramente sorprendente che trovo in questo workshop è il fatto che le associazioni, cioè quello che dicono i colleghi no, quello… i racconti dei sogni… poi finiscono per, per toccare… per essere stimoli per associazioni nostre che hanno dato un senso ai miei sogni… ho sognato la mia amica Elisa e… ho sognato, sempre nella prima parte del sogno, che stavo lavando un vassoio, e questo vassoio presentava una specie di supporto per appoggio, un vassoio su cui si cuoceva della carne, alzandolo c’era una specie di stoma. Allora mi è venuto in mente che io sono stata vicina alla mia amica Elisa, che non mi… associavo un altro tipo di morte, non per cancro; la mia amica Elisa è stata malata per tanti anni di tumore alla vescica, è stato operata, è stata e ha avuto una stomia in pratica. E questo non me lo ricordavo, non lo associavo a, proprio, al contatto con questo… con il cancro… come causa di morte. Pensandoci lo associavo a un lutto in generale ma non… al cancro, no, al cancro come è morta mia mamma… Oltre a questa situazione nel mio sogno tutto aveva una logica, poi in realtà sono rimasti degli spezzoni… A un certo punto io compro dei biglietti per un viaggio, un viaggio in Puglia, che ora parlando associo sempre con la mia amica Elisa che era pugliese, anche se ci siamo conosciute a Roma, e poi non so come sto camminando per una strada, che appunto individuo come una strada di Roma, una strada grande e mi trovo improvvisamente davanti a una chiesa, una specie di basilica di tufo, vecchia, una chiesa molto molto bella, e mi sorprende e dico… e mi dico “ma come mai nessuno ne ha mai parlato di questa chiesa? è meravigliosa…” Cerco nella mia borsa la macchina fotografica e non la trovo e sono lì che cerco, cerco dispiaciuta per fotografarla e a un certo punto arriva una marea di turisti, una marea di persone, una voce di fuoricampo, che individuo come mia nipote, mi dice “zia fotografamela, poi me la fai vedere”… A me piace fotografare i paesaggi no, perché sono una persona a cui piace il contatto diretto, individuale, con le cose che le danno gioia, che la… che la fanno sentir bene ecco,  come immagini d’arte, io amo molto l’arte,  ripiego a un certo punto su un angolo… dove… c’è mia sorella con mia nipote piccolina, che però potrebbe essere anche mia nipote con la sua piccolina, e il senso di benessere di cui hanno parlato altre persone… io l’ho provato in quel momento lì, e allora… il benessere che veramente dà anche no? questo tipo di lavoro che state facendo, l’ho  provato proprio stanotte… poi io potevo continuare a sognare… mi è suonata la sveglia e la sensazione “Oh peccato…” perché stavo bene, perché… in quel momento lì stavo bene. Quindi io vi ringrazio… Veramente grazie.

 

Partecipante n. 24: Buongiorno e bentrovati. Io ringrazio moltissimo sempre per queste occasioni, perché sono l’opportunità di una grandissima riflessione interiore e anche acquisizione di… strumenti da utilizzare. Non è semplice parlare di quello che porta a tagliare i fili che ci uniscono al mondo sensibile e questo film, la visione di questo film, rispetto, per esempio, a quelli fantascientifici della edizione precedente, ci espone a qualcosa che invece è molto vicino alla nostra narrazione del quotidiano, che quindi ci coinvolge tutti direttamente. Sicuramente ci sono delle identificazioni all’interno del film perché sono un’insegnante di lettere… Ma la parte più… nel sogno… è stato il ritorno di mio padre. Io e mio padre abbiamo avuto un legame fortissimo durante il periodo che abbiamo potuto vivere insieme e lui però in sogno non è tornato in carne ed ossa ma in spirito e soffio, cioè è arrivato in me bambina che attraverso lui e con lui facevo esperienza della mia conoscenza, della mia costruzione, del mio essere… quindi sicuramente ho rivisto nei flashback della protagonista, nel momento in cui assaporava la conoscenza e l’esperienza del mondo attraverso la figura mediata di questo padre, apparentemente distratto in un momento, poi così, invece, profondo nel farla tornare a mettere l’attenzione su quelle parole, che poi avrebbero costituito la sua salvezza… Perché lei questa stessa attenzione al linguaggio la rimette nel momento in cui è per lei necessario appropriarsi del linguaggio specifico per comprendere fino in fondo quello che stava vivendo, per acquisire consapevolezza, sapere esattamente cosa stava accadendo. C’è un un’altra particolarità… Ho avuto esperienze di morte, alcune viste direttamente e immediatamente, altre attese, alcune pensate, previste, altre sognate e poi avvenute, quindi è inevitabile che tutto questo rimescolamento interiore in qualche maniera riesca fuori con l’inconscio o l’attività cerebrale notturna, ma in particolar modo quello che mi è rimasto tanto era la struttura circolare della narrazione di questo film, dove la figura dell’insegnante della protagonista, che nella fase iniziale la scuote facendole mettere l’attenzione sulle sfumature della punteggiatura nel sonetto sacro numero 6 di Donne, e di come cambia il messaggio che ci viene comunicato. Questa figura torna alla fine, nell’accompagnamento verso il distacco definitivo… una sorta di traghettamento dell’anima, una specie di psicopompo detentore di quelle conoscenze, di quella possibilità di accompagnamento… e nel sogno questo però avviene mentre l’immagine galleggia sull’acqua, un’acqua calma, argentea… e a questo punto si innestano le mani, le mani che non hanno più forza, le mani che comunque cercano di sfregarsi tra di loro, la mano che viene presa, la mano… e quindi il concetto di cura, la cura che… di chi si cura, la necessità dell’infermiera non solo di donare una carezza attraverso un unguento… e quindi torniamo addirittura a concetti di santificazione eccetera, ma poi la necessità di ripercuotere su se stessa la prosecuzione di questa cura, perché chi dona a sua volta ha bisogno tantissimo di recuperare le energie che ha sottratto per dedicarsi agli altri. E poi c’è un grandissimo non luogo, perché tutto questo era immerso in qualcosa di molto simile all’ambientazione medica, quindi queste stanze asettiche eccetera, però in effetti non erano identificabili quindi un non luogo, come se fosse proprio quello del passaggio, quello della necessità da percorrere per poter permettere il trapasso da una esistenza sensibile a una non più sensibile. All’interno di tutto questo ovviamente hanno ruotato le figure dei medici, l’irruzione dei medici nel corpo del malato, apparentemente senza rispetto, il linguaggio utilizzato, l’ironia sottile nel non verbale del medico che sottovaluta anche l’aspetto di coinvolgimento e psicologico del paziente, la grande distanza tra il tecnicismo e l’asettico rapporto medico-paziente e la profondità invece delle parole, la figura dell’infermiera che per prima, appena entra all’inizio, dice “perché l’hai lasciata così?” [si riferisce ad una scena del film in cui il giovane medico, ex allievo della paziente, la lascia spogliata da sola nella stanza della visita, sul lettino ginecologico] Per noi donne, per esempio, la visita ginecologica è sempre un aspetto complicato da affrontare, la posizione, eccetera… e nel film c’è un particolare che è quello dell’estrazione dei poggia gambe da sotto il lettino con un rumore, un frastuono, che ha devastato interiormente la paziente… e forse l’attenzione che noi dobbiamo porre è proprio su tutti i particolari da tenere in considerazione quando si ha a che fare con il corpo di qualcuno, con la sensibilità, con l’affrontare determinati passaggi. L’ultima particolarità è stata che io ho scritto delle poesie, e nel sogno mi sono apparse alcuni versi di una mia poesia che si intitola “Ancora vivi si muore” e questa poesia, se posso, se non rubo altro tempo…

 

Prof. Nesci: No no, la legga la legga.

 

Partecipante n. 24: “Sui volti seccati dal sole, bruciati dal vento, corrosi dall’odio, lacrime cocenti e mai versate hanno scolpito una mappa indelebile. Il dolore del vuoto infinito, il baratro delle notti senza fine, la voragine della fame più cupa, il tuono dei corpi corrotti e quelle mani, quelle mani senza più forza, senza più vita, stringeranno mai ancora un altro bambino che ignaro del mondo chiede pietà? Polvere grigia di eterni conflitti distrugge e ricopre intere città. E l’anima persa nelle nebbie di sordità senza più luce si spegne pian piano. E silenziosa muore, piegata a metà…”

 

Partecipante n. 25: Allora, intanto vi ringrazio percé avete offerto una cornice molto importante al mio lavoro. Lavoro con i sogni da tantissimo tempo, i miei, quelli dei pazienti, i miei da controtransfert rispetto a quelli dei pazienti… e sogni diurni fatti nel setting con i pazienti… Ho visto il film ieri sera e ho visto i bellissimi vari linguaggi che usa e come illumina l’ombra di ognuno di noi, illumina il limite che rappresenta la morte. I linguaggi che hanno usato nel film aprono le porte al conosciuto non pensato. Ho visto il film ma anche l’ho vissuto, l’ho vissuto in questa danza fra eros e thanatos, tra amore e morte. Ero convinta di non avere fatto nessun sogno quando mi sono svegliata; in realtà dopo, improvvisamente, mi è arrivata un’immagine. Ero ancora forse in dormiveglia, un’immagine sul sogno, sul film naturalmente, ed era una grossa catena con delle maglie grosse in cui c’erano, della stessa maglia, una parte scura e una parte chiara, e ho pensato agli aspetti del vivere e del morire… Io faccio anche a volte il Tonglen tibetano… e mi ha colpito molto la frase che mi è arrivata in maniera proprio improvvisa “e Gesù morendo ha vinto la morte”. E’ stata un’immagine profondamente pregnante perché ha illuminato la catena e ho visto che in realtà c’era come una specie di trasmissione transgenerazionale in quelle maglie della catena, la trasmissione mortifera di tutti i miei familiari che sono morti di cancro, compreso recentemente una nipotina di trent’anni morta anche lei di cancro, e quindi questa eredità chiamiamola luttuosa, questi lutti da elaborare, ma anche questa sensazione di portare con me probabilmente questa eredità triste della mia famiglia. Poi ho visto invece il bianco, il luminoso, la resilienza, l’amore che io ho trovato in questa trasmissione transgenerazionale che ho visto nel film. Nel film c’è la parte algida del morire da soli nei dottori che si prendono cura, che dovrebbero prendersi cura della paziente ma che in realtà sono come dei predatori perché vogliono il corpo della paziente per i loro studi e per la loro ricerca. Dall’altra parte invece ho visto l’amore della sua insegnante e l’abbraccio. L’abbraccio è qualcosa di molto più importante del bacio, del rapporto sessuale, perché è il contenere l’altro dentro di noi e utilizzare la nostra femminilità per contenere le paure dell’altro vicino alla morte, perché anche la protagonista che era così brava, così in gamba, così determinata, così resiliente, alla fine ha pianto, alla fine si è rannicchiata in maniera fetale sotto le lenzuola, sotto le coltri. La cosa più terribile è proprio questa. Ho lavorato con pazienti covid, neuro-covid, long-covid, eccetera eccetera… ma la cosa più terribile era morire da soli. Mi ricordo la canzone siciliana, io sono siciliana, sul teschio che dice “Idda m’arispunniu cu gran duluri, murivi senza un toccu di campani”, sono morta senza un rintocco di campane. Il rintocco di campane nel mio paese veniva fatto non per la persona che era morta, ma per la persona che agonizzava, per la persona che faceva la ricapitolazione della vita, per chiamare a raccolta la comunità intorno a lei, per fare in modo che sentisse l’amore che vince la morte. La morte è il nostro estremo limite, è quello che un paziente narcisista non può mai accogliere in sé ed accettare; quindi, c’è sempre questo rifiuto di questo limite, ma una ridefinizione della morte può essere che la morte è una forma di vita e non ci sarebbe vita se non ci fosse la morte. Nel film mi sembra che tutti questi temi siano trattati in maniera così delicata e con un linguaggio direi un po’ allusivo, un po’ metafisico direi, metafore, umorismo, c’è di tutto nel film. Guardi io veramente l’ho apprezzato, ammirato e, soprattutto, lo farò vedere ai miei… sono supervisore e lo farò vedere ai miei supervisionati e quando lei ha detto, professore Nesci, alla collega, invitatemi… io abito a Carpi, se sarà possibile certo che organizzerò qualcosa in qualche scuola, magari al liceo, perché oggi i ragazzi hanno bisogno di una socialità più sana rispetto agli stalker, rispetto all’autolesionismo, rispetto a tutto il resto… per cui ben venga una iniziativa del suo genere. Per me è stato bellissimo vedere il film, ascoltare voi, ascoltare i colleghi e tutti gli spunti che mi hanno offerto e che utilizzerò… Grazie.

 

Partecipante n. 26: Buongiorno e grazie di questa iniziativa meravigliosa che è veramente un momento di riflessione, di formazione importante. Allora io volevo condividere due piccoli frammenti fatti in due momenti diversi. Premetto che io ho visto il film poche settimane prima del workshop, non sapendo che poi avremmo visto questo film nuovamente. Allora il primo sogno, il primo frammento di sogno, che già avevo annotato, ignara poi… un po’ racchiude quello che ci siamo detti, no? sulle mani, mani che accarezzano, mani che si prendono cura, ed è un piccolo frammento dove appunto io ho sognato la mia casa in campagna, dove ho passato un’infanzia avvolta dall’amore dei nonni, quindi diciamo dei ricordi bellissimi, e in questo piccolo frammento appariva un micetto bianco a cui ero molto legata a cui mancava una zampa, quindi gli era rimasta soltanto una zampa ed era agonizzante sui gradini, in una posizione appunto fetale che ovviamente mi ha ricordato poi la posizione della paziente. Quello che era il… io gli accarezzavo la zampa rimasta e mi prendevo cura di questo micetto in questo modo e facevo un pensiero: ricordo perfettamente che mi dicevo nel sogno “chissà come è scomodo questo micetto in questa posizione”, perché praticamente era tra due gradini e quindi diciamo un gradino, la soglia di un gradino, praticamente arrivava a metà del corpo di questo… di questo gattino. Questo è un primo frammento. Dopodiché ho rivisto il film, appunto, e ho fatto un altro piccolo sogno, piccolo frammento di sogno, che era questa volta ambientato diciamo in un luogo a me totalmente estraneo, vedevo solo molta polvere in questo luogo e tra la polvere intravedevo un carro di legno trasportato da un uomo vestito di nero con morti ammassati l’uno sopra all’altro. L’ambientazione, diciamo il periodo, poteva essere quello della Seconda guerra mondiale, o quantomeno diciamo io ho pensato questo mentre sognavo, e quello che mi colpiva erano i costumi. Tant’è che nel sogno… cioè i vestiti che io vedevo, anzi intravedevo nella polvere… e quello che io mi chiedevo mentre sognavo era “perché mi colpisce così tanto l’ambientazione?” Cioè i costumi; come se io stessi, diciamo, in qualche modo, assistendo a un film… e dicevano, all’interno del mio sogno, che quelli erano morti di guerra ma io in realtà pensavo che fossero morti di malattia. Questi sono i miei due frammenti. Grazie.

 

Prof. Angelini: Se posso dire qualcosa su questi ultimi sogni, due parole. Mi colpiva questo discorso del vestito perché è un tema importante nel momento in cui si entra in una istituzione come l’ospedale, ma anche nel carcere, no? eccetera eccetera… e adesso magari in carcere non tanto, ma una volta… si veniva spossessati del vestito. Un’altra cosa è sul forte coinvolgimento che ho sentito in molte persone partecipanti rispetto appunto alla visione di questo film, no? che è un film che colpisce molto e coinvolge, e soprattutto rispetto alla figura dell’infermiera. L’infermiera è un personaggio fondamentale secondo me dal punto di vista sia psicologico ma anche cinematografico, no? Psicologicamente a me quello che viene da dire è che è una persona che non ha paura di regredire, che in qualche modo riesce a regredire e a mantenere contemporaneamente un livello invece molto alto di cognizione e di attenzione. Il cinema ha questa particolarità di fornirci un potentissimo effetto di realtà. Noi al cinema abbiamo la sensazione di vivere qualcosa di reale, per questo possiamo fare anche questi, diciamo, questi incontri, no? Perché abbiamo vissuto qualche cosa che è stato realmente, dal punto di vista affettivo, coinvolgente. La stessa cosa non sarebbe stata possibile con una rappresentazione teatrale, perché il teatro comunque ci avrebbe dato una sensazione di finzione, non di falsità eh, ma di finzione. Paradossale, no? perché il teatro che è fatto da persone vere noi lo sentiamo subito come una cosa finta, mentre il cinema che sostanzialmente non esiste perché sono ombre colorate su un telone, noi lo avvertiamo con un effetto di realtà potentissimo… e succede che, quando andiamo al cinema, siamo disponibili alla regressione. Tanti anni fa io mi ricordo parlai con un importante critico cinematografico, una persona poi che è rimasta famosa anche nello… ed è ancora insomma nel… e mi diceva “ma io per poter fare la critica di un film devo vederlo due volte, perché la prima volta casco dentro proprio con tutte le scarpe alla… insomma all’acqua, alla palude, a quello che volete… mi immergo nel film e non ci capisco nulla. Per poter fare un ragionamento lo devo vedere la seconda volta”. È questo, in effetti, il potere, no? del cinema come forma di arte in particolare. Ora la situazione che noi abbiamo visto, no? in cui solo l’infermiera in fondo, no? è un… è brava, no? è umana… è molto simile alla situazione di un artista. Cioè, un artista, per esempio un regista bravo che vuole fare un film profondo e intenso come questo, deve riuscire contemporaneamente a muovere la sua tecnica artistica per evocare emozioni, in questo caso realistiche, perché è cinema, molto forti profonde e intense, ma dare contemporaneamente a sé stesso e allo spettatore la possibilità di rimanere anche, magari quando esce dalla sala cinematografica, a un livello cognitivo alto. E guardate che l’arte vera è questa, è il momento in cui contemporaneamente si riesce ad avere insieme qualcosa di molto profondo, basso basso, ma non nel senso negativo, e qualcosa di molto alto, molto mentale e cognitivo. Questa è un’opera artistica. La mia sensazione vedendo questo film, vedendo questa infermiera, è che lei avesse qualche cosa veramente di più del professionale e del tecnico ma qualcosa che somiglia all’arte, ed è qualche cosa che in fondo, no? anche i grandi… i grandi medici, che sanno ben lavorare, i grandi psichiatri, i grandi psicoanalisti, no? si avvicinano un pochino nel momento in cui lavorano contemporaneamente a due livelli. Questo lo facciamo noi comunque… nel momento in cui riusciamo a toccare le nostre emozioni in una maniera che sia contemporaneamente alta e profonda… Qui concludo, volevo lanciarti [rivolgendosi al prof. Nesci] poi una domanda che mi è venuta perché ho visto questo film insieme a qualche altra persona amica… e l’ultima parte, quella in cui la ex docente della paziente arriva e la conforta, la aiuta, no? che è un momento in cui viene in qualche modo anticipata la morte… tutti l’hanno descritta come un fatto reale, cioè arriva questa professoressa e conforta la sua ex allieva. Qualcuno mi ha detto: “ma non potrebbe essere anche… anche registicamente, no? un po’… un sogno che questa paziente fa?” perché in fondo questa professoressa nel film arriva e se ne va e non incontra nessuno, no? è una presenza che potrebbe essere anche fantastica. Però finora non avevo sentito questa possibilità… e mi chiedevo se qualcun altro l’aveva avvertita.

 

Prof. Nesci: Alberto mi piace molto quello che hai detto… e allora associo sul tuo intervento con due spunti. Il primo è sul racconto che hai fatto del critico, di questo famoso critico che secondo me è giustamente famoso, perché mi viene da pensare che inconsciamente, e sottolineo inconsciamente cioè in modo totalmente inconscio, quello che abilita il critico a essere così bravo è il fatto che tra la prima visione del film, in cui si immerge, regredisce, e la seconda visione del film, non ho dubbi che c’è almeno una notte, non ho dubbi che ci sono 3, 4 sogni. Che lui lo sappia o non lo sappia, che lui lo ricordi o non lo ricordi… Allora faccio l’ipotesi che quello che gli consente di capire è il sogno della notte, successivo alla prima visione del film. È perché lui si fa da sé un workshop Cinema e Sogni che riesce poi ad arrivare a un livello più alto di comprensione. E allora sull’onda di questa stessa riflessione entrerei anche nella seconda cosa che ci hai raccontato, e cioè… qual era la seconda cosa Alberto?

 

Prof. Angelini: La presenza reale o fantastica della…

 

Prof. Nesci: In quella scena… in quella scena, grazie all’ennesima visione del film… ma, a questo punto, forse, perché io l’ho visto tante volte… e chissà quante notti e quanti sogni devo avere avuto che non ricordo… io mi sono accorto di un dettaglio… che ora ho piacere di condividere con voi. L’insegnante anziana, dopo un po’ si toglie le scarpe e si mette accanto… toglie la traversina e si mette accanto all’allieva. Quando se ne va non si rimette le scarpe, ma quando esce ha le scarpe. Quindi è chiaro che non è realtà quella che noi vediamo, e che l’idea dei tuoi amici che sia un sogno è un’intuizione geniale. È un sogno, perché realisticamente non quadra: le scarpe se le è tolte ma non le ha mai rimesse. Mi piace molto l’idea che è un sogno, molto profonda, molto bella. Marco, puoi far parlare i successivi, a meno che Paolo non abbia anche lui un desiderio di parlare qui e ora.

 

Prof. Vinci: Sono molto d’accordo con queste vostre sottolineature perché anche per me la scena della professoressa era la cesura, ciò che dava al film il nucleo profondo di significato. E sono anche molto d’accordo con quanto è stato detto che c’è questo elemento di regressione, perché va sottolineato che invece di leggere una poesia colta di John Donne… si legge una favola del nipotino di cinque anni. Quindi anche questa professoressa rigida, alla fine, invece, coglie… mettiamo che questo sia un sogno, diciamo pensato dal regista, perché sempre il regista si è mosso su questo doppio piano. La domanda fondamentale che il film in me ha suscitato è stata questa: ma quanto ci aiutano gli strumenti intellettuali, la cultura, il sapere, lo studio di fronte a queste grandi sorprese della vita, a queste situazioni dolorose, no? E mi sembra che il film vada nella direzione giusta sottolineando che è astratto dire “sapere” o “poesia”. Dipende sempre dal modo in cui noi ci viviamo queste cose. La cultura può essere una gabbia in cui rinchiudersi e fuggire oppure può essere un effettivo accompagnamento spirituale della nostra vita. È il modo in cui in cui si… si vivono queste cose. Quindi direi che… C’è un tema, che è il tema della seconda morte. Il tema della seconda morte compare nell’Apocalisse di Giovanni, ed è una delle ultime cose che c’è nella Bibbia. E la seconda morte è una morte senza redenzione, è una morte solo fisica. E appunto mi sembra che il film suggerisca, anche molti sogni suggeriscano questo… cioè poi l’ineluttabilità della morte sì, però si sposa con la possibilità di non vivere una seconda morte, cioè un totale venir meno senza quell’elemento di speranza che una morte, diciamo, accolta dagli altri, possa dare. Se manca questo momento di accoglienza, di condivisione, cioè, come dice Elvio Fachinelli, diventare madre di creature ferite, no? Se non c’è questa capacità di qualcuno di accogliere e esprimere una vicinanza in questo… in questo momento di… fatale, il rischio è che ci sia, che non ci sia solo la morte ma una sorta di seconda morte. E a me sembra che tutti i sogni siano stati una controspinta a questa idea, perché tutti i sogni sono stati sogni alla fine positivi verso la morte e verso la perdita, sono sogni che hanno espresso fondamentalmente un senso di speranza, di continuità e di affettività, che quindi, diciamo, nell’insieme del collettivo dei sognatori si esprime questo punto decisivo: c’è la morte ma non ci deve essere la seconda morte.

 

Prof. Nesci: Mi hai fatto venire in mente allora un’altra cosa. Non mi ricordo in quale cultura lontana dalla nostra, una cultura orientale, quando si voleva costruire un villaggio la prima cosa che si faceva era prendere un gong, uno strumento che somiglia alla campana, di cui ha parlato poco fa una nostra partecipante al workshop, e mettersi nel posto preciso in cui si voleva costruire il villaggio e, stando tutti insieme, il leader cominciava a suonare il gong. A quel punto tutto il gruppo si allontanava in tutte le direzioni e il leader continuava a suonare a intervalli regolari il gong. Le persone avevano la consegna di fermarsi quando non lo sentivano più, andando a raggio in tutte le direzioni a 360°. In questo modo, quando tutti si erano fermati, quello era il confine del villaggio. Il villaggio c’era fin dove il suono del gong arrivava e poteva chiamare tutti a riunirsi di nuovo. Ecco, abbiamo bisogno di costruire un villaggio, sia pure virtuale, dove possiamo chiamarci, ritrovarci, condividere… perché è questo quello che ci tiene uniti e che consente di superare anche il mistero della morte, il mistero del dolore, il mistero della malattia, il mistero della vita. Se stiamo vicini tutto è più possibile, che poi è il grande messaggio del film in realtà.

 

Partecipante n. 27: Mi ha colpito molto la scena in cui il giovane medico allievo della professoressa si trova di fronte alla professoressa morta… Lui, almeno questo ho colto io, si è commosso e scappa via di fronte a questa commozione, a quello che prova. È come se avesse fatto emergere anche la sua umanità, che aveva messo da parte. E poi riguardo al sogno anche io ho fatto tre sogni… il terzo sogno mi ritrovo su una spiaggia, con mia cugina che mi avverte di stare attenta perché cadono delle cose dall’alto. Infatti, appena in tempo ne riesco a scansare una che mi rendo conto, con disgusto, che è un’enorme cacca di mucca. Poi mia cugina mi dice che possiamo andare via e facciamo una salita, un sentiero molto stretto addossato ad una roccia alta e imponente. Arriviamo in un tunnel della roccia, ci entriamo e mia cugina mi avverte di nuovo di stare attenta perché quel qualcuno che butta le cose giù sta proprio lì sopra. Infatti, arriva giù all’improvviso qualcosa. Io l’afferro, vedo che è fatta di diversi oggetti, tra cui mi colpiscono due anelli con la pietra azzurra, molto belli, e penso che vorrei prenderne almeno uno. Ributto giù questo insieme di cose, le butto giù a valle. Gli oggetti cadendo si sparpagliano ma giù ci sono tutte le persone della famiglia di mio padre che velocemente si scelgono questi oggetti. Anch’io prendo qualcosa ma mi rendo conto che sono oggetti di poco valore, mentre gli anelli a cui ambivo sono spariti. Chiedo a mia zia morta chi potrebbe averli presi; lei mi risponde che probabilmente li ha presi una mia cugina… Questa cugina è la figlia della zia a cui appartengono gli oggetti buttati giù e che è morta di cancro al seno. Allora mi dico “è giusto che sia così, lei è la figlia…” e quindi avverto un senso di accettazione, un’accettazione consapevole, deve andare così… Questa riflessione mi infonde tranquillità e mi sento in pace con me stessa.

 

Partecipante n. 28: Io ieri sera ho avuto molti problemi, non sono riuscita a collegarmi. Poi ho visto il film e questa mattina verso le 6:30, le 7:00 mi sono svegliata senza aver fatto sogni, molto arrabbiata e ho detto “ma sono arrabbiata perché ieri sera non sono riuscita a collegarmi?” Non lo so. Poi mi sono riaddormentata e ho fatto un sogno. Stavo in una stanza dove io ero seduta ad una scrivania, quindi doveva teoricamente essere un mio studio; entra una mia amica che è ginecologa e che… diciamo ex ginecologa perché fa adesso un altro tipo di lavoro… e siccome è arrivata tardi mi dice “tu sei arrabbiata perché ho fatto tardi, non ti preoccupare perché adesso ti calmerai, ti divertirai” e mi offre un oggetto, un contenitore a forma di gatto che c’ha il coperchietto nero e il resto è bianco. Apro questo coperchio e dentro, probabilmente, non li vedo ma… presumo che ci siano dei cioccolatini che mi danno quindi soddisfazione. Questo è il sogno. Poi anche io ho osservato il finale al livello del medico, che mi sembrava… quando ha sbagliato e ha dovuto riconoscere che lui aveva sbagliato a chiamare i rianimatori e lo ha ripetuto più volte “ho sbagliato, ho sbagliato”. Poi riflettevo molto all’inizio sul titolo “La forza della mente”; io pensando alla forza della mente ho detto “va bene allora questa malata ce la farà” perché con la mente riuscirà a salvarsi. Invece prima una collega ha scritto nella chat un post che la vera traduzione è “la forza dello spirito” e quindi forse… la mia idea della forza della mente non era quella giusta. Naturalmente ringrazio sempre tutti di queste belle esperienze… Finito, grazie.

 

Prof. Angelini: la terza con la cioccolata eh…

 

Partecipante n. 29: Buongiorno e grazie per questi stimoli così profondi. Allora io ieri ho trascorso la mia giornata in compagnia dei miei consuoceri che due anni e mezzo fa hanno perso una figlia di 33 anni per un tumore al seno. Così eravamo insieme in una cittadina qui vicino, in Emilia-Romagna, ed eravamo… era una giornata serena, tranquilla, loro erano qui, sono del Sud ma erano qui per una visita sanitaria, per un controllo, e ci siamo presi questa giornata di relax. Durante la giornata c’era questa loro figlia… era comunque presente… e però non ne abbiamo mai parlato. Poi sono rientrata, ho acceso il mio computer, mi sono collegata e mi sono stesa sul divano e dopo avervi ascoltato ho guardato il film. Ero sola, mio marito era andato a letto, però non mi sono sentita sola perché sapevo che c’erano tanti che guardavano il film insieme a me. Sono andata a letto con l’aspettativa di sognare e come la precedente signora che ha parlato prima, collega, non so, anche io mi sono svegliata durante la notte pensando che non avrei sognato. Mi sono riaddormentata… ecco qui il sogno è arrivato. Era la prima mattinata e ho sognato anche io una strada in salita che facevo tornando a casa da lavoro, avanti a me c’era una ragazza giovane che anche lei tornava a casa da scuola e insieme salivamo questa strada dove non c’era marciapiede. A un certo punto però ero stanca e mi son detta “ma perché vado avanti da sola, chiamo mio marito”, prendo il cellulare per chiamarlo e il cellulare è in tilt, non riesco a chiamarlo; quindi, mi agito… nel frattempo si avvicinano altre persone che cercano di aiutarmi ma improvvisamente, mentre sono lì un po’ in angoscia, sento la voce di mio marito che mi dice “sto arrivando a prenderti”. Io non capivo come avesse fatto a ad ascoltarmi perché il cellulare era in panne, ma questa cosa poi… ecco il sogno finisce lì, con questa soluzione. Volevo anche dire che ho vissuto al risveglio la sensazione… tre sensazioni: la solitudine, l’angoscia e poi la speranza. E è quello che credo di aver vissuto nella visione del film, dove costantemente pensavo a questa donna sola, completamente sola, l’angoscia che mi ha trasmesso ma poi la speranza perché comunque ha trovato vicino questa… questa infermiera così attenta, così empatica, che l’ha curata, si è presa cura di lei e poi questa… questo angelo che si è presentato a un certo punto… è come se fosse venuta a prenderla, a trasportarla… anche perché il momento della morte di questa insegnante è stato un momento privo di dolore, cioè lei è passata dalla vita alla morte senza, almeno il film non dava a vedere nessun segno di sofferenza tant’è che il medico quando è entrato pensava di farle delle cose, invece solo dopo si è reso conto che la persona non c’era più. Ecco, questa è la mia… cioè avevo tanti altri spunti nella mente, tante altre cose, ma credo sia sufficiente aver condiviso questo. Grazie di nuovo.

 

Partecipante n. 30: Salve a tutti. Allora io faccio una premessa: a me il film non è piaciuto. L’ho trovato noioso e lento e… questa è la premessa, poi arrivo a spiegare dopo… e in realtà non mi ha toccato, non sono riuscita a empatizzare con la protagonista e devo dire che questo meccanismo di rompere continuamente la quarta parete mi ha proprio aiutato a non empatizzare a ricordarmi “è un film, quindi quello che vedo non sta succedendo veramente” con il paradosso che poi è un film invece su delle questioni molto reali. Durante la visione mi addormento quindi mi risveglio che ho perso l’ultima mezz’ora del film e, anche un po’ scocciata perché lo volevo vedere tutto, torno indietro e recupero la mezz’ora. Quindi in realtà vado a dormire un po’ con queste sensazioni e proprio con il compito, cioè di dover portare a termine questo compito, di fare dei sogni. In realtà faccio dei frammenti di sogni che ora vi racconto e rileggendo un po’ tutto questo, stamattina, che mi sono svegliata, durante le presentazioni degli altri sogni in questo workshop, io penso di aver proprio staccato, dissociato, tantissimo, da tutta comunque l’emotività e il pathos di questo film. Perché andandomi poi a ricordare proprio l’inizio del film ho questi due ricordi che sono stati un pensiero, un’immagine. L’immagine è stata che nella prima scena dove si vede questo primo piano della protagonista io ci ho rivisto mia zia, questa mia zia… sono molto legata, che due anni fa ha dovuto affrontare un cancro al colon aggressivo e quindi con una terapia e una chemio molto molto aggressiva. Quindi la prima immagine è stata: “cavolo, mi ricorda tantissimo cioè proprio mia zia!” Penso che da lì sia cominciata la mia dissociazione con tutte queste sensazioni che ho premesso e il pensiero, invece, il primo pensiero è stato: “cavolo, come cavolo ha fatto questa persona, mia zia, ad affrontare tutto questo?” Non penso, non so, se io avrei questa forza… E i sogni in realtà sono stati flash, frammenti di sogni. Il primo è stato mia madre che mi chiama e mi avvisa che mio nonno non c’è più. Mio nonno è una persona di 95 anni quindi siamo anche tutti un po’ preparati a questo possibile evento e in realtà io in questo frammento sono contenta perché ho fatto in tempo a salutarlo, perché io realmente ieri sono andata a trovarlo. Quindi in questo momento mi sento “ah meno male, ho fatto in tempo a salutarlo, sono contenta, ho avuto un ultimo momento con lui”. Il secondo flash, frammento, riguarda proprio mia zia dove mi avvisano che in realtà questo cancro è tornato, perché essendo recente adesso è proprio nel periodo di follow up, di esami a sei mesi per vedere se torna o non torna e mi avvisano che effettivamente il cancro è tornato, cosa che nella realtà per fortuna invece non è vero. E il terzo flash viro, il terzo frammento viro totalmente seguendo un po’ il mood generale di questi sogni, perché è un frammento di gioia, di felicità, di vita e quindi sogno… sto lavorando… io oltre a essere psicologa sono anche una un’operatrice per quanto riguarda un progetto che lavora molto con i laboratori, con l’animazione, con i ragazzi… e quindi sogno che sto conducendo un’attività con un mio collega, con questi bambini che devono trovare l’ultima tappa di una caccia al tesoro. Quindi insieme a questo collega incito questi bambini a divertirsi, a giocare e a trovare questo tesoro. E quindi niente… concludo dicendo che penso che sia stato molto faticoso per me tutto questo workshop, visione, sogni e adesso… Grazie.

 

Partecipante n. 31: Buongiorno, buongiorno professore, buongiorno ai colleghi. Intanto grazie perché è un’esperienza davvero molto bella, insomma, molto molto nutriente. Io confesso che ho… mi sono molto forzata nel vedere, a vedere il film perché avevo già scelto di non vederlo quando è uscito, e più che mai non avevo nessun desiderio di vederlo adesso però… l’ho fatto lo stesso. Non mi sono addormentata, anzi ho fatto fatica ad addormentarmi, alcune scene le ho trovate davvero molto forti per me, quasi insopportabili… e poi ho fatto un incubo. Volevo dire alla collega [si riferisce alla Partecipante n. 26] che curiosamente anch’io ero nella casa dei miei amatissimi nonni, in una stanza in cui stavo spesso, con un terrazzino, un balcone. In questa casa dei miei nonni, nella sala, in sostanza ero sola ma anche non sola, ecco, questa era una percezione strana nel senso che ero fisicamente sola ma non sola, nel senso che sentivo nella mia mente di dialogare con altri. Menti? Non lo so, una specie… come se ci fosse una mente collettiva, un insieme di qualcosa. In questa stanza c’è un intruso… si tratta di un essere umano, sì, però piccolo, ossuto, completamente calvo, insomma potrei dire che è una sorta di nucleo umano ma completamente primitivo. Mi è venuto in mente qualcosa di perturbante non so, non è né maschio né femmina, né giovane né vecchio, quindi è senza età, senza genere ma è terrorizzante, nel senso che è pieno di dolore. E quindi sento che è una minaccia molto importante per me, cioè devo fare qualcosa per difendermi e sento che devo neutralizzarlo. È buffa questa parola che mi viene in mente perché poi lui è neutro, è senza età, senza genere, di fatto lo è già, neutro, di suo, ma io devo neutralizzarlo nel senso anche di renderlo inoffensivo. E allora riesco; forse c’è un’agitazione, come un vortice in questa stanza, non posso dire una colluttazione no, però come un vortice, ecco questo mi viene in mente… alla fine io riesco a catturarlo, lo metto dentro un grande sacco di plastica… lo annodo lì dentro, sapete quei grandi sacchi in cui si portano via i cadaveri, i corpi dei defunti, qualcosa del genere, ma, e qui nasce di fatto il picco diciamo, potrei dire lo spannung del sogno [lo spannung è il momento in cui la tensione del racconto raggiunge il suo culmine], non so… nel senso che una volta catturato, il problema non è affatto risolto perché io non so che cosa farne, cioè questo è il vero colpo di scena di tutto il mio incubo, cioè incomincio a dire: “oddio dove lo metto?”… a dire, a pensare… Non c’è… il sogno è completamente silenzioso, non ci sono rumori, non ci sono né voci, né suoni, né niente, è in un silenzio assoluto, ma penso: “dove lo metto? Lo metto sul terrazzino? E se si butta giù? Oppure se cade giù così, tutto legato? Allora sul terrazzino non si può. Allora forse lo metto in casa? In casa potrebbe liberarsi, continuare a essere pericoloso…” Ecco il problema è dove tenere questa cosa, dove tenere la cosa, e molta parte del sogno si svolge in questa… in questo affanno, in questa angoscia, per cui non c’è posto per la cosa… Grazie.

 

Prof. Angelini: Scusate, volevo dire un cosa a questo proposito. Molto brevemente, no? Che ieri abbiamo parlato un attimo del perturbante e questa presenza di cui… che ha descritto la collega ora, no? Questo piccolo insomma, a parte che fa pensare ad alcuni soggetti antropologici, mi viene in mente il monaciello, quello dei napoletani ma anche il poltergeist, il poltergeist è collegato così, dal punto di vista della psicoanalisi, Jung parlava del poltergeist come di uno spirito folletto sempre vicino a una figura di adolescente o cose del genere, sono tutti collegati a situazioni molto inquietanti, potenzialmente mortali, con la possibilità di, appunto, incidenti… così… definitivi… o cose del genere. È molto interessante l’ultima parte di questo sogno quando, appunto, la collega, nel sogno, acchiappa questa specie di entità primitiva un po’ terrorizzante, anche fisicamente, e poi non sa assolutamente cosa farne. Dice “dove la metto?” Perché è esattamente quello che invece tocca fare, no? Anche dal punto di vista psicoanalitico noi viviamo sempre nella situazione di rimozione di parti interne nostre con cui non vogliamo entrare a contatto. La psicoanalisi ci insegna, o comunque ci fa, a volte, insomma, se è possibile, entrare a contatto con queste parti rimosse che sono terrorizzanti, sono inquietanti, diciamo, nel migliore dei casi. Il problema del dove le vado a mettere è esattamente il compito esistenziale che noi dobbiamo affrontare dal punto di vista mentale, non solo psicanalitico ma proprio in senso umano, in senso totale, per trovare il nostro equilibrio interno. Ci sono persone che ci riescono meglio, altre peggio, altre che fanno questo lavoro attraverso degli strumenti… e qui ricordo il discorso di prima, gli artisti. Gli artisti si equilibrano così, perché entrano in contatto con queste parti, non solo brutte eh, anche… possono essere anche molto creative e vitali e in qualche modo esprimendole, cioè tra la parte profonda loro e la parte più cognitiva, trovano così una modalità di equilibrio. Però, ecco, questo è un sogno in cui c’è proprio la domanda… dice: “adesso che me ne faccio di questa roba?” che è una domanda che ho sentito fare spesso.

 

Partecipante n. 32: Buongiorno. Ciao a tutti e a tutte. Mi sentite? Allora beh, intanto grazie per l’opportunità. Io sono un’educatrice pedagogista, lavoro con adulti con deficit psicofisici e patologie di natura psichiatrica, quindi, non sono una terapeuta. Nell’arco di questi ultimi anni sono stata vicina a due amiche, un amico, mio cognato, mio marito, anche una nipote di quattro anni, tutti morti per tumore e questa estate ho accompagnato mia madre lungo il suo percorso di cura per un tumore che era al terzo stadio, un tumore al collo dell’utero che ora è nella fase di follow up e… ricollegandomi anche alla collega di prima [si riferisce alla Partecipante n. 23] penso alla fatica di mia madre di affrontare le visite ginecologiche che tuttora racconta come la parte peggiore di tutto il suo percorso. Per quanto riguarda il film, “La forza della mente” l’ho visto ieri sera per la seconda volta; è un film che ho ritrovato grandioso per il mio sentire e che sicuramente rivedrò. Poi anch’io sono andata a dormire, come altri hanno detto, con l’idea di dover sognare, come se fossero i compiti per casa… e poi mi sono addormentata con il volto di Emma… [l’attrice Emma Thompson, che nel film impersonava Vivian] di Vivian che ci parla mentre il medico, suo ex allievo, si lamenta perché deve entrare nella sua stanza con le protezioni. E in me qua ha attivato questa cosa, che questo film parla anche di un altro tema, no? che potrebbe essere il maschile che entra nel femminile, e qua si aprirebbero portoni di riflessioni, perché potrebbe veramente essere un altro tema. C’è lei, c’è Susie, l’infermiera, c’è la professoressa… e poi ci sono tutti i medici maschi, no? come se fossero in contrapposizione, non so. L’infermiera Susie poi, tra l’altro, mi ha colpito tanto quando Vivian arriva che sta malissimo, dice che non ha spento le luci a casa… e l’infermiera si preoccupa lei di mandare qualcuno a spegnere le luci a casa. E a me ha dato un po’ l’idea che Susie fosse una sorta di psicopompo che accompagna da una parte all’altra l’anima di Vivian. Poi per quanto riguarda invece il sogno, i miei sogni, stanotte io ho sognato a intermittenza nel senso che mi sono svegliata tante volte ma tutte le volte sono ritornata sullo stesso sogno. Ed è curiosa questa cosa. Ed ero nello spazio dove c’era tutto buio, poche stelle, io… come un viaggio interstellare, no? Poi sono in un altro luogo, sempre nello spazio, però uno spazio lontano dove mi affaccio… però ha una sorta di macchia di inchiostro, nera, enorme, i cui bordi, contorni, sono tutti rarefatti e il centro è più buio del buio, ma proprio il buio più totale… e io mi sento fluttuare intorno a queste macchie/buco, diciamo, che mi attraggono e nello stesso tempo so che potrei farmi avvolgere anche, però, come una specie di protezione, perché è come un buio che avvolge ma anche protegge. Ecco questo è… è quanto per me. Vi ringrazio tanto, veramente tanto per questa opportunità.

 

Partecipante n. 33: Mi sentite? Buongiorno a tutti e grazie. Io volevo portare due cose. Una era il senso di solitudine, che mi ha accompagnato ancora prima del film, come se fossi da sola a vedere il film, e una cosa che ho pensato è che la solitudine, poi, vedendo il film, non era solo quella della protagonista ma erano soli anche il medico e il ricercatore, no? L’altro medico giovane… quindi come la solitudine colpisse un po’ tutti in quanto erano incapaci di empatizzare e non c’era un qualcuno, non c’era un gruppo che permettesse di fare… persone estremamente sole, in difficoltà emotiva evidente, e quindi questo io l’ho portato, diciamo, durante tutto il film, cioè mi colpiva la solitudine… non l’esser sola, ma il sentirsi sola della protagonista, ma anche proprio l’esser solo dei medici… perché c’erano solo loro due e non c’è nessuno altro. E durante… e mentre vedevo il film le mie lacrime sono… porto queste cose perché poi ci sono nel sogno… finalmente hanno preso forma fisicamente nelle due scene quelle… quella della professoressa e quella dell’infermiera. Io faccio una piccola premessa che il film… cioè ero sola ma non mi sentivo sola, prima di tutto perché sapevo che c’erano altre persone con me che stavano guardando il film e poi perché la messa… il film si presentava come questa doppia messa in scena, sia teatrale che cinematografica. Io faccio teatro per diletto da un po’ di anni e quindi avevo con me il gruppo di teatro dove adesso il mio gruppo di teatro… in questo momento io faccio parte del teatro patologico e ha ancora una funzione, insomma, ha preso un altro canale diciamo, e quindi nel mio sogno mi ritrovo… c’entra molto Alice nel Paese delle Meraviglie che è stata una mia messa in scena, dove in realtà era una rivisitazione della vicenda del libro dove io sono Alice, ma prima ero l’anatra, quella che nuotava, che poi ha anche la funzione di reverendo in realtà, il simbolo… simbolicamente rappresenta pure un reverendo. E nel mio sogno mi ritrovo nel mio appartamento, che è un piano terra ma in realtà nel sogno lo faccio diventare un primo piano… cioè nel sogno era un piano terra però poi dopo si trasforma in un primo piano rialzato, a Roma vengono chiamati primi piani rialzati, con una porta semiaperta e da questa porta semi aperta il mio vicino di casa, i vicini di casa e un mio ex compagno, cioè ma proprio ex… posso proprio dire “correva il millenovecento…” dell’età in cui avevo dai 17 ai 22 anni… e lo vedo uscir fuori con tanti vestiti in mano, cioè che… non li aveva messi né in una busta né in una valigia ma li portava con sé e quindi io mi avvicino per dire “hai bisogno di aiuto?” dice “no non ti avvicinare perché c’è la mia la mia compagna, mia moglie che…” come se fosse tipo gelosa e quindi io non lo potevo accompagnare, non lo potevo aiutare. Finisce questa… insomma va via, non so dove vada e nell’altra scena mi ritrovo invece nella sua cucina, e qui adesso c’è il cioccolato, nella sua cucina vicino al lavandino, dove si lavano appunto i piatti e non so cosa succede ma tutto questo in un clima privo di emozioni, perché io lo ammazzo, lo uccido quasi involontariamente. Quando mi sveglio è come se nel sogno ci fosse un coltello però poi in realtà quando mi sono svegliata era una bottiglia. E, adesso poi lo dico, nella cucina sul tavolo c’era un pasticcino di cioccolato e quindi ricordo queste due bottiglie, il pasticcino di cioccolato e c’era la compagna… io mi guardo la compagna e dico “vabbè, adesso è morto che si fa? bisogna chiamare… non è stata colpa mia, cioè io mi rendevo… cioè io avevo questa bottiglia in mano, lui si è sporto così verso di me, bisogna chiamare qualcuno” e mi sveglio. Al mio risveglio ho avuto… sono stata un po’… perché io poi ci lavoro tanto, mi servono per organizzare proprio i pensieri i sogni; quindi, quando non sogno vado un po’ in confusione, quindi ho detto “no adesso non farci nulla tanto tra un po’ ci sarà il social dreaming, sennò poi faccio troppo”. Però nel frattempo ho portato avanti queste immagini di Alice nel paese delle meraviglie dove, in tutto questo sogno, in realtà a fianco a me c’era un coniglio ma non era il coniglio, il white rabbit del… non era il coniglio iper-agitato, vecchiotto, era un bel coniglio calmo, senza guanti quindi aveva… si era tolto i guanti, quindi, aveva… potevo toccarlo anche… la sensazione del mio risveglio era che questo coniglio mi accompagnasse, era vicino a me come se ci dessimo la mano. E quindi poi dopo ho iniziato ad associare che Alice, nella storia, lei in realtà beve dalla bottiglia, quindi qui la chemioterapia… deve bere dalla bottiglia perché deve diventare piccola piccola per poter uscire dalla porticina, però beve così tanto, cioè beve, diventa alta, piccola, 25 centimetri, non ricordo… però poi non sa come fare perché ha dimenticato le chiavi e quindi a quel punto deve mangiare il pasticcino di cioccolato per, il mio pasticcino di cioccolato, insomma un pasticcino comunque era… per ridiventare grande. Però la cosa che mi colpisce è che in tutto questo lei non riesce a uscirne fuori fino a quando si mette a piangere e, piangendo, appunto, le sue lacrime diventano questo laghetto, no? Si trasformano in un laghetto dove poi lei nuota insieme all’anatra, insieme a tutti, insieme al topo, insieme al dodo, lei nuota per poter poi continuare il suo sogno… ed è qui che il coniglio perde il suo guanto, lascia i suoi guanti. La cosa bella di questo… che per me è la cosa bella della storia di Alice, a parte tutti i suoi significati, la fine della storia… quando Alice racconta la sua storia alla sorella e poi va via… la sorella la immagina adulta insieme ai suoi figli.

 

Prof. Nesci: Credo che dobbiamo chiudere… perché abbiamo sforato, siamo alle 13:32…

 

Dr. Marco Mascioli [moderatore, FCP]: Sì io volevo scusarmi… mi scuso anche con Chiara e Carmela che si erano prenotate ma… oggi è stata una giornata molto intensa ed eravate tantissime a voler parlare… ed è stato molto bello…

 

Prof. Nesci: Concluderei ricordando, a quelli che già lo sanno, e dicendo, a quelli che non lo sanno, che il workshop Cinema e Sogni non ha una conclusione… quindi di essere tutti molto sereni perché la cosa fondamentale di questo workshop è lasciarlo aperto… perché ci si può lavorare all’infinito. E dirò che noi ci lavoreremo molto presto perché io scriverò qualcosa appena avrò la trascrizione integrale del workshop, non per dare una conclusione al lavoro di oggi ma semplicemente per sintetizzarlo, dare alcuni spunti e consentire a ognuno di noi di continuare a lavorare su tutto quello che di molto interessante è emerso oggi. L’inconscio è infinito, noi possiamo illuminare con un cerino una caverna immensa e dobbiamo rispettare queste dimensioni della realtà. Un’ultima notazione la faccio sul senso di solitudine. A tutti coloro che si vogliono impegnare nel campo della Psico-Oncologia ricordo “mai soli…”. Nancy McWilliams, nella prefazione al mio ultimo libro ha scritto “il mantra del team di Nesci, che lavora con i malati oncologici e i loro familiari, è: mai soli”. Da soli non si va da nessuna parte. E sarebbe importante lo capissero i legislatori quando dicono che un ospedale deve avere uno psiconcologo e un hospice deve avere uno psicologo. È ridicolo: uno non serve a niente, può solo finire in burnout. Bisogna essere tanti, bisogna essere un team e bisogna imparare a lavorare anche online e in rete per poter veramente fare qualcosa di buono. Nell’équipe del super ospedale americano lo psicologo non c’era. Il medico in modo terroristico chiede alla paziente “vuole che le chiami lo psichiatra?” Non è di questo che un paziente ha bisogno, un paziente ha bisogno che quando viene seguito per un percorso oncologico fin dal primo giorno conosca uno psiconcologo (psicologo o psichiatra) che lo può seguire e aiutare per tutto il percorso. Mi fermo qui, ringrazio Marco Mascioli ed FCP che ci dà questa opportunità di raggiungere un grande numero di psicologi e ringrazio Paolo Vinci, Alberto Angelini e tutti voi… Ci vediamo alla prossima occasione!

BIBLIOGRAFIA

 

Angelini, A. Psicologia del cinema, Liguori, Napoli, 1992

Donne, J. (1912), The Poems of John Donne, Vol. I, Oxford University Press, London, 1980, p. 326

Edson, M. Wit, Dramatists Play Service, New York, 1999

Fachinelli, E. Su Freud, Adelphi, Milano, 2012.

Freud, S. (1899), L’interpretazione dei sogni, in “Opere”, Vol. III, Boringhieri, Torino.

Freud, S. (1915), Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, in “Opere”, Vol. VIII, Boringhieri, Torino.

Freud, S. (1919), Il Perturbante, in Opere, Vol. IX, Boringhieri, Torino.

Nesci, D.A. Il workshop cinema e sogni, Eidos, n. 10: pagg. 12-13, 2007

Nesci, D.A. Psychological Care for Cancer Patients: New Perspectives on Training Health Professionals, with Foreword by Nancy McWilliams, Lexington Books, 2023.